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Chi lavora nel mondo del digitale sa bene che le collaborazioni tra web agency e sviluppatori esterni sono ormai la norma.
Ma pochi sono preparati alle implicazioni concrete che questo tipo di rapporto porta con sé. In questo primo episodio della serie “Agency Horror Stories”, insieme a Marco Cacciotti — sviluppatore freelance con esperienza anche nel digital marketing — abbiamo aperto il vaso di Pandora.
Ne è emersa una realtà che molti tecnici conoscono, ma che pochi raccontano con la dovuta chiarezza.
Il cortocircuito tra agenzia e collaboratori esterni
Gran parte delle agenzie, anche quelle di medie o grandi dimensioni, esternalizzano lo sviluppo software. Non è una novità. Eppure, nel momento in cui inizia la collaborazione con uno sviluppatore esterno o un’azienda tech, accade spesso un paradosso: il collaboratore esterno viene trattato come un dipendente interno, ma senza tutele, senza chiarezza nei ruoli, e con un carico di responsabilità sproporzionato rispetto agli accordi.
Marco racconta un caso emblematico: da collaborazione flessibile con orari autonomi, si è ritrovato a dover spegnere il proprio sito personale per non fare “concorrenza” all’agenzia, a occuparsi di attività che andavano ben oltre lo sviluppo (server, reti, vendite), fino a gestire chiamate di assistenza e supporto clienti durante l’orario di lavoro tecnico.
Il risultato? Un drastico calo di produttività, frustrazione e, infine, la rottura del rapporto.
Il vero nodo: assenza di metodo e confusione di ruoli
Dietro a questi problemi non c’è solo una cattiva comunicazione. C’è spesso una struttura aziendale debole, una gestione improvvisata e un’ignoranza metodologica diffusa. Molte web agency, pur proponendosi come fornitori “full service”, non hanno mai investito in una reale cultura del project management. E il risultato è evidente: progetti consegnati male, ritardi, malintesi e attriti continui tra i team.
Uno dei problemi più ricorrenti? La confusione tra chi deve fare cosa. Ad esempio: chi integra la grafica nel sito? Il designer? Lo sviluppatore? L’agenzia? Senza un confine chiaro, ogni ambito diventa una zona grigia in cui i task vengono scaricati sul più disponibile o sul meno tutelato. Spoiler: quasi sempre sul tecnico.
Un’altra zona di frizione è la gestione del cliente finale. Se il tecnico collabora con l’agenzia, ma poi si trova a dover rispondere direttamente al cliente (magari con richieste che contraddicono le indicazioni dell’agenzia stessa), il cortocircuito è assicurato.
I preventivi al buio e la sottovalutazione della tecnologia
Spesso chi fa i preventivi nelle agenzie non ha competenze tecniche. Si limitano a comporre pacchetti modulari (“mettiamoci anche questo, e poi anche questo…”) senza una reale analisi dei requisiti — né funzionali, né tanto meno non funzionali.
Il risultato? Progetti incoerenti, funzionalità sproporzionate, costi esplosi. E soprattutto: applicazioni lente, instabili, incapaci di reggere il traffico previsto. Perché nessuno si è preso la briga di chiedere quanti utenti avrebbe dovuto servire il sito, o come sarebbe cresciuto nei mesi successivi.
La causa? Il fraintendimento culturale che vede ancora la “tecnologia” come commodity da realizzare con qualche plugin, non come l’architettura portante su cui si regge la crescita di un business digitale.
La checklist che dovrebbe salvare ogni collaborazione
Nel tempo, anche nella mia esperienza personale e in quella del mio team, abbiamo costruito una checklist da usare prima di ogni collaborazione con una web agency. Alcuni punti fondamentali:
- Chiarezza sul ruolo e le responsabilità reciproche: chi fa cosa, come e con quali strumenti.
- Definizione del “cliente” reale: chi ha l’ultima parola? L’agenzia o il cliente finale?
- Formalizzazione dei requisiti (almeno di alto livello): cosa deve fare il sistema? Con quali vincoli di performance, traffico, sicurezza?
- Accesso diretto al cliente nei progetti critici: per garantire coerenza, responsabilità e comprensione del contesto.
- Condivisione dei flussi operativi: se il metodo di lavoro dell’agenzia è incompatibile con quello di un team tech, il progetto è già compromesso.
Le false agenzie “full stack” e la sindrome del project manager improvvisato
C’è un altro fenomeno tossico che emerge spesso: quello delle agenzie che vogliono apparire come fornitori completi “chiavi in mano”, ma non hanno le competenze per gestire l’intero ciclo di vita del progetto. In particolare, molte si affidano a project manager che non hanno strumenti né cultura per dialogare efficacemente con sviluppatori, architetti e team tecnici.
Il risultato è che il project manager non solo non riesce a fare da cerniera tra agenzia e tecnologia, ma diventa a sua volta un collo di bottiglia, generando promesse sbagliate ai clienti e malfunzionamenti gestionali interni.
Come uscirne? Serve maturità da entrambe le parti
La soluzione, come sempre, non è “scaricare colpe”, ma imparare a costruire collaborazioni più sane.
Alle agenzie dico: smettetela di fingere di poter fare tutto internamente. Se la tecnologia è in subfornitura, trattatela con rispetto e trasparenza. Coinvolgete i partner tech nelle fasi strategiche. Non è solo corretto, è vantaggioso per tutti.
Ai freelance e alle aziende tech: scegliete con attenzione le agenzie con cui collaborare. Chiedete chiarezza prima di partire. Pretendete un contesto che valorizzi le vostre competenze. E ricordate: senza una vera analisi a monte, il miglior codice del mondo non può salvare un progetto.
Il futuro delle piattaforme digitali non può reggersi su collaborazioni fragili e modelli superati. Servono partnership solide, metodo e rispetto reciproco.
E se il tuo progetto sta per partire, chiediti: sto lavorando con un partner o con un imbuto?
Se ti interessano questi temi, ti invito a esplorare anche altri contenuti come il podcast “Pionieri del Tech” e la community Tech Mastermind, dove affrontiamo insieme il futuro della collaborazione tra agenzie, sviluppatori e tech leader.