Indice
Introduzione
Startup e blockchain: due parole che affascinano, ma che spesso nascondono trappole cognitive. La tecnologia da sola non basta. Serve partire dai problemi. Veri. Umani.
Nel mondo tech, ogni tot anni arriva una nuova buzzword che promette di cambiare tutto. È stato così con il cloud, poi con il mobile, poi con la blockchain, ora con l’AI. Ma mentre l’hype corre, la realtà ci ricorda che le aziende – e soprattutto le startup – non falliscono per mancanza di tecnologia. Falliscono perché non risolvono un problema che valga la pena risolvere.
Questa è una delle verità emerse nella puntata 133 del CTO Show, in cui Manuel Arlotti ha intervistato Johan Duque, tech crafter e co-founder di northnode, imprenditore con esperienze tra Colombia, Stati Uniti e Italia, oggi focalizzato su venture studio per PMI in LATAM con infrastruttura Bitcoin.
Un confronto diretto, schietto, che mi ha fatto riflettere su alcuni falsi miti che ancora oggi ostacolano chi vuole fare innovazione seria.
Il mito della tecnologia salvifica
Partiamo da qui: l’errore più comune delle startup tech è partire dalla tecnologia.
“Facciamo qualcosa con la blockchain.”
“Mettiamoci l’AI.”
“Usiamo gli NFT.”
Tutto questo prima ancora di chiedersi quale problema si sta cercando di risolvere.
La tecnologia non è il punto di partenza. È uno strumento. Un mezzo per un fine. E come qualsiasi strumento, va scelto con criterio: ha senso usarla solo se aumenta il valore per l’utente.
Johan Duque lo dice chiaramente: “Nel mondo ci sono più blockchain che bambini felici.” Una provocazione? Sì. Ma anche una fotografia esatta della saturazione tecnologica priva di senso pratico.
I 3 momenti in cui la blockchain ha davvero senso
Nel corso dell’intervista, Johan ci aiuta a distinguere quando ha senso usare la blockchain. Sono casi molto precisi:
- Quando serve rimuovere intermediari per creare fiducia tra sconosciuti.
- Quando è necessario un registro immutabile e trasparente.
- Quando il valore del prodotto è nella decentralizzazione.
Tutto il resto? Sovrastruttura. Moda. Spreco.
E se queste condizioni non ci sono, ha più senso costruire un MVP tradizionale, validare il problema, testare l’adozione, iterare.
Lo stesso principio vale per l’AI. O per qualunque altro strato tecnologico che ci tenta con la sua lucentezza.
Il cuore di tutto: il problema e l’utente
Una delle frasi che più mi ha colpito è questa:
“Abbiamo parlato per 14 anni di quanto la blockchain potesse cambiare il mondo… ma abbiamo dimenticato di coinvolgere il mondo.”
Brutale. Ma vera.
Per questo Johan insiste su tre approcci fondamentali che anche io insegno nel mio metodo GamePlan:
- Design Thinking: capisci prima di costruire.
- Lean Startup: testa per non fallire lentamente.
- Agile: adatta velocemente ciò che impari.
Tre approcci che valgono sia per startup che per corporate. Per chi sta partendo e per chi deve reinventarsi. Perché, come dico spesso ai miei clienti: ogni nuova iniziativa è una nuova startup. Anche dentro una PMI.
Fallimenti annunciati (e come evitarli)
Il 90% delle startup fallisce. Ma perché?
Ecco le cause secondo Johan Duque:
- Product-Market Fit inesistente. Si costruisce un prodotto che non interessa a nessuno.
- Team inadeguato. Mancano le competenze giuste (o non sanno lavorare insieme).
- Finanziamenti bruciati. Mancanza di focus, spreco di risorse, poca disciplina imprenditoriale.
Tutto questo è amplificato quando si inserisce una tecnologia immatura o male interpretata. E qui entra in gioco la responsabilità dei leader tech.
Il ruolo del Tech Leader: guida, non fanboy
Come tech leader non possiamo limitarci a seguire le mode. Dobbiamo guidare. Fare domande scomode. Spiegare ai founder o agli stakeholder che la blockchain non è una bacchetta magica. Che serve tempo, validazione, iterazione.
E anche che non serve usare una buzzword per giustificare una soluzione. Serve dimostrare che quella tecnologia porta un vantaggio reale.
Ed è qui che si gioca la partita più importante per noi Tech Leader.
Conclusione: dalla retorica del cambiamento al valore che cambia davvero
Blockchain, AI, Web3… tutte queste tecnologie possono generare valore enorme. Ma solo se le mettiamo al servizio di un problema concreto. Solo se le usiamo per semplificare la vita a qualcuno. Solo se costruiamo esperienze semplici, usabili, accessibili.
Il resto è vanity tech.
Ed è questo il motivo per cui insisto con i miei clienti su un approccio strategico, manageriale e centrato sull’utente. Senza hype. Con metodo.
Perché il futuro si costruisce con la testa. Non solo con il codice.