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Nel mercato tecnologico contemporaneo, costruire un prodotto “buono” non basta più. Le aspettative sono cambiate, il contesto è globale e la soglia d’ingresso per emergere si è alzata drasticamente. In questo scenario, una domanda cruciale si impone: cosa differenzia davvero un prodotto world-class da tutto il resto?
Partiamo da una consapevolezza semplice ma spiazzante: non c’è nulla di casuale nei prodotti di successo. Dietro ogni soluzione che conquista un mercato, che scalda un segmento e che resta nella memoria degli utenti, c’è un sistema. Una cultura. Un’ambizione dichiarata.
A partire dai principi espressi da Ezinne e Oji Udezue nel loro lavoro “Building Rocketships”, esploriamo cosa significa costruire prodotti world-class, perché questo mindset è oggi una priorità anche per le aziende italiane e come approcciarlo in modo strategico fin dalla fase zero.
L’ambizione non è un vezzo: è la vera infrastruttura
Il primo tratto distintivo delle aziende che riescono a costruire prodotti straordinari è l’ambizione. Non nel senso di un generico desiderio di “fare bene”, ma come chiarezza di posizionamento e volontà concreta di essere nel top 10% della propria categoria.
L’ambizione non si manifesta nei pitch. Si traduce in:
- Scelte coraggiose di mercato (costruire per il mondo, non per il quartiere);
- Prodotti che risolvono problemi fondamentali, non superficiali;
- Design di roadmap coerenti con una visione esplicita, misurabile e condivisa.
Le aziende che aspirano al world-class si pongono una domanda diversa: “Come possiamo costruire qualcosa che conti davvero per le persone, su scala globale?”. E ogni singolo sistema interno viene orientato a dare una risposta concreta a questa domanda.
Il secondo ingrediente: un sistema operativo di prodotto
I leader di prodotto non si limitano a fare delivery. Guidano la costruzione di un vero “sistema operativo di prodotto”, composto da rituali, strumenti, team e decisioni che puntano a un obiettivo superiore alla semplice messa in produzione.
Nel libro di Ezinne e Oji viene distinta chiaramente l’attività di “fare prodotto” da quella di “guidare il cantiere”. Il primo livello riguarda le tecniche: design, virality, pricing, customer feedback, ecc. Il secondo riguarda la leadership: cultura, sistemi, influence interna, capacità di far muovere centinaia di persone verso un intento comune.
Ed è proprio qui che fallisce la maggior parte delle aziende italiane: non nel talento dei singoli, ma nella mancanza di un’infrastruttura strategica per farlo emergere.
Tutti vogliono innovare. Pochi mettono le basi per riuscirci
Nel nostro lavoro con decine di aziende italiane, vediamo una dinamica ricorrente: team entusiasti, leadership ambiziosa, ma una frammentazione tale da impedire ogni vera innovazione.
È il risultato di anni di accumulo: strumenti diversi, stack incoerenti, funnel isolati, dati sparsi, governance assente. Ogni nuovo progetto diventa un parto. E nessuno riesce più a distinguere le buone idee dalle zavorre.
In questi contesti, il primo passo non è innovare. È creare chiarezza. Allineare business, prodotto e tecnologia. E costruire un modello che renda scalabile la qualità.
Tre domande per capire se stai costruendo un prodotto world-class
- Stai costruendo per il mondo o solo per il tuo cliente attuale?I team che vincono non si fermano a risolvere il bisogno contingente di oggi. Progettano con un livello superiore di astrazione e visione.
- La tua organizzazione ha un’opinione forte su ciò che è “bello” e “giusto” per il cliente?Il gusto di prodotto è un elemento critico. Non lo si delega agli utenti, lo si guida attraverso un processo continuo di osservazione, interpretazione e iterazione.
- Chi prende davvero le decisioni di prodotto nella tua azienda?Se le scelte chiave vengono derubricate a compromessi interfunzionali o a richieste commerciali, il prodotto perde identità. E con essa, perde mercato.
Il ruolo dell’AI: acceleratore o caos?
In un contesto sempre più “vibe-coded”, dove ogni stakeholder può generare un prototipo in Figma o GPT-4, il ruolo del product manager cambia. Ma non scompare. Al contrario, diventa centrale nella capacità di:
- Filtrare le idee buone da quelle rumorose;
- Validare rapidamente soluzioni con codice funzionante (non pronto per la produzione, ma comunicativo);
- Orchestrare persone, modelli e insight in una sinfonia coerente.
L’AI diventa uno strumento per comprimere il ciclo comunicativo tra le funzioni, rendere tangibili le idee e abilitare prototipi condivisi. Ma senza una direzione chiara, produce solo più velocemente lo stesso disordine.
La chiave: chiarezza sistemica
Ezinne e Oji tornano spesso su un concetto: clarity is magic. Le aziende che diventano world-class non sono quelle con più tool, più feature o più funding. Sono quelle dove ogni persona sa:
- Qual è il vero problema che stiamo risolvendo
- Per chi lo stiamo risolvendo
- Con quale tipo di prodotto vogliamo vincere
La chiarezza non è una frase nel manifesto. È un asset operativo. Si riflette nei backlog, nei KPI, nei meeting, nei sistemi di compensazione. E si costruisce con metodo, non con buone intenzioni.
I limiti del framework-centrismo
Uno dei punti più lucidi dell’intervista riguarda la deriva del product management come “insieme di framework”. Troppe aziende si sono illuse di poter diventare customer-centric a colpi di JTBD, sprint review e roadmap Kanban.
Ma la vera differenza la fa la leadership. La capacità di fare scelte. Di influenzare. Di costruire fiducia interna. Di creare una cultura in cui l’esecuzione non è un vincolo, ma un vantaggio competitivo.
Un buon framework aiuta. Una cultura forte vince.
Il costo dell’inconsapevolezza
Un errore che molti founder e CPO commettono è sottovalutare il costo-opportunità delle loro decisioni di prodotto. Come dice Ezinne: se hai 8 developer, stai gestendo milioni di euro. E ogni backlog che accetti senza metterlo in discussione è un budget sprecato.
Ogni sprint non allineato alla strategia è una perdita secca. Ogni compromesso che scollega la visione dal codice è un freno alla scalabilità.
Costruire un prodotto world-class non è (solo) questione di execution. È prima di tutto una responsabilità economica, strategica e culturale.
E in Italia?
Molte PMI italiane sono ancora lontane da questo approccio. Troppo spesso, il prodotto è un’estensione del commerciale o dell’IT. Mancano le basi: uno Sprint Zero strategico, una product leadership consapevole, una governance tecnologica che abiliti anziché frenare.
Ma la buona notizia è che si può intervenire. Abbiamo visto aziende trasformarsi in 6 mesi quando si crea il giusto allineamento tra ambizione, metodo e organizzazione. Non serve diventare Google. Serve iniziare a pensare da aziende di prodotto, anche se non si vendono prodotti digitali.
Conclusione: il prodotto è una leva strategica, non un esito operativo
Costruire prodotti world-class non è un lusso da startup californiana. È la condizione per restare competitivi in un mercato dove tutto, clienti inclusi, si muove a velocità esponenziale.
Il primo passo è disimparare l’approccio “facciamo il progetto” e iniziare a costruire il sistema. A partire dal primo Sprint Zero.
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