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Riformulare l’innovazione: una sfida culturale, non solo tecnologica
L’innovazione non è un’iniziativa. È una condizione di esistenza per chi opera nel business contemporaneo.
Eppure in Italia, dove la trasformazione spesso arriva per imposizione normativa e non per visione strategica, la parola “innovazione” rischia di essere percepita come un onere burocratico piuttosto che una leva per creare valore.
In questo scenario si inserisce la visione di Ryslaine Moulay, Innovation Director di MAIZE, che nel suo lavoro ha un obiettivo preciso: sradicare la retorica sterile dell’innovazione come moda, e riportarla a ciò che realmente è – una necessità profonda per restare rilevanti in un mondo che cambia di continuo.
Con un background che unisce scienze politiche, management dell’innovazione e design strategico, e una carriera costruita tra startup, premi internazionali e grandi imprese, Moulay non propone ricette, ma metodi per aprire nuovi spazi di pensiero. E nuove possibilità operative.
Il design strategico come mentalità prima ancora che metodologia
Il cuore dell’approccio di Maoulay risiede nel design strategico, inteso come un framework orientato non alla semplice risoluzione dei problemi, ma alla capacità di riformulare la domanda stessa. Prima di progettare la soluzione, bisogna interrogarsi se stiamo affrontando il problema giusto.
Questo cambio di paradigma è cruciale: molte aziende si concentrano sul “come” innovare senza essersi fermate a chiedersi “perché”, “su cosa” e “in quale direzione”. Il design strategico inizia con ricerca etnografica, trend foresight, scenario planning, per far emergere insight latenti nel contesto aziendale, sociale, culturale e tecnologico.
“Non si tratta di inventare, ma di osservare. L’innovazione parte dall’ascolto dei segnali deboli”, spiega Moulay.
Questi segnali deboli – weak signals – possono essere tecnologici, comportamentali, estetici, oppure derivare dal mondo della cultura, dell’arte o persino dalla biologia. È da questo tipo di intersezioni che si sviluppano progetti trasformativi, che vanno oltre il semplice digital enhancement.
AI: entità relazionale, non solo motore di automazione
Uno dei punti più provocatori di questo tipo di visione è l’uso dell’intelligenza artificiale non come esecutore ma come interlocutore.
Se l’AI è trattata solo come un assistente che replica logiche esistenti, perde gran parte del suo potenziale trasformativo. Ma se viene progettata per porre domande, sollevare ambiguità, stimolare il pensiero laterale, allora può diventare una leva per scardinare i bias decisionali, rendere visibili nuove opzioni strategiche, aumentare la qualità del decision making.
Un esempio concreto? Il suo GPT personale – un agente conversazionale customizzato che conosce in profondità la sua storia, i suoi riferimenti culturali e filosofici, e agisce come Devil’s Advocate, l’avvocato del diavolo che sfida le sue idee, svela i punti ciechi, stimola riflessione critica. Un’AI come specchio cognitivo, non come scorciatoia operativa.
Questa visione si traduce anche nei progetti con i clienti:
- Per un brand globale del lusso, è stato progettato un sistema AI per garantire la coerenza delle linee guida di comunicazione su scala internazionale, superando le difficoltà di formazione e controllo nelle sedi locali.
- Per un’azienda impegnata sul fronte ESG, è stato realizzato uno strumento AI in grado di aggregare in tempo reale i dati sulla sostenibilità, collegarli a normative UE, e generare automaticamente un’analisi SWOT su minacce, opportunità, forze e debolezze.
In entrambi i casi l’AI non decide, ma supporta l’essere umano nel prendere decisioni migliori. Non sostituisce: potenzia.
Le PMI non sono escluse: possono essere pioniere (se cambiano mentalità)
Spesso si pensa che l’innovazione sia un lusso da grandi aziende. Moulay ribalta questo preconcetto: nelle PMI l’innovazione è spesso più realizzabile, perché i processi decisionali sono meno frammentati, le catene di comando più corte e la possibilità di sperimentare più diretta.
Il vero ostacolo? La mentalità.
“L’innovazione autentica non è confortevole. È un atto di coraggio”, dice Moulay.
Per questo, un’ampia parte del lavoro in queste aree non è tecnico, ma culturale: si lavora con team interni attraverso training immersivi, esercizi di scenario, giochi decisionali dove i partecipanti devono agire anche senza certezze, come succede realmente nell’innovazione.
Qui entra in gioco anche la cultura del fallimento, ancora poco metabolizzata nel contesto italiano. Il concetto di “fail fast” – provare presto, fallire in piccolo, imparare rapidamente – è ancora visto con sospetto. Invece è proprio questa la chiave per innovare davvero senza rischiare di fallire in grande.
I dati sono un patrimonio strategico, ma spesso trascurato
Un altro blocco frequente nei progetti di AI è l’assenza o la frammentazione dei dati. Molte aziende dichiarano di voler fare “qualcosa con l’AI”, ma poi non dispongono di dati accessibili, puliti, integrati. In questo caso MAIZE attiva percorsi di data enrichment, data sharing interno e creazione di dataset esplorativi anche a piccola scala.
“Non è necessario partire con un’infrastruttura perfetta. Basta voler iniziare, anche con un piccolo proof of concept.”
E spesso, aggiunge Moulay, il problema non è tecnico: è di governance, di dipartimenti che non condividono dati, di paure sulla trasparenza, di silos che si perpetuano.
Ecosistemi oltre-umani: il futuro dell’innovazione è simbiotico
Uno dei concetti più affascinanti emersi nell’intervista è quello di ecosistema di innovazione oltre-umano. Moulay e MAIZE non considerano l’innovazione solo come un prodotto del binomio uomo-macchina. La intendono come un ecosistema che include anche il biologico, il naturale, il culturale.
Non è un’idea astratta: è una necessità strategica per affrontare un mondo complesso, interdipendente, dove le imprese non possono più operare in una bolla.
A ispirare questa visione è anche il libro “Modi di Essere” di James Bridle, che esplora come la comprensione delle intelligenze vegetali, animali e artificiali possa aprire a nuovi modelli cognitivi, organizzativi, produttivi.
Cosa possono fare oggi le aziende?
Ryslaine Moulay non propone una “to-do list” precotta. Ma dai suoi interventi si possono trarre alcuni principi guida:
- Partire dalla ricerca, non dalla soluzione. Prima di progettare l’innovazione, va capita la vera natura del contesto.
- Non seguire i trend, ma costruire una visione. L’economia circolare o l’AI non devono essere scelte “perché lo fanno tutti”, ma perché sono rilevanti per la propria strategia.
- Formare team interni al cambiamento. L’innovazione non si delega in outsourcing. Va costruita nelle persone.
- Accettare l’incertezza come condizione normale. L’innovazione comporta esplorazione, quindi anche fallimento, ambiguità e instabilità.
- Adottare l’AI non solo come forza lavoro, ma come partner di pensiero. Progettare strumenti che sollevino nuove domande, non solo risposte.
Verso una nuova leadership dell’innovazione
Nel mondo post-digitale, l’innovazione non è più un reparto. È una responsabilità condivisa, distribuita, culturale.
Figure come Ryslaine Moulay rappresentano una nuova generazione di leader dell’innovazione: ibridi, inter-disciplinari, sistemici. Capaci di tenere insieme strategia, tecnologia, filosofia, biologia, branding e intelligenza artificiale in un unico racconto coerente.
E soprattutto, capaci di fare innovazione con, non per le aziende. Un approccio che potrebbe essere proprio ciò che serve per aiutare il tessuto imprenditoriale italiano a evolversi – non per moda, ma per sopravvivenza. E per rilevanza.
Come iniziare davvero un percorso di innovazione?
Le riflessioni condivise da Ryslaine Moulay mostrano chiaramente una cosa: l’innovazione non inizia con una tecnologia, ma con una domanda ben posta.
Ed è proprio questo l’obiettivo di Sprint Zero, il percorso di consulenza strategica creato da Axelerant per aiutare le aziende a definire il terreno su cui costruire innovazione reale.
Che tu voglia esplorare l’adozione dell’AI, rivedere il tuo modello di business, o semplicemente capire da dove iniziare, Sprint Zero è il primo passo concreto e guidato per chiarire la direzione.
Perché l’unica innovazione utile… è quella che parte bene.