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Il passaggio critico da startup a scale-up
Molte aziende tech iniziano con un team di prodotto improvvisato ma straordinariamente efficace: poche persone polivalenti, tanto entusiasmo e la capacità di “fare tutto” pur di portare valore rapidamente. Tuttavia, nel momento in cui l’azienda entra nella fase di scale-up – con l’ambizione di crescere in modo sistematico, aumentare il fatturato e rispondere a investitori sempre più esigenti – quel modello si rivela improvvisamente insufficiente.
Charlotte King, oggi Lead Product Manager in eBay, ha vissuto direttamente questo tipo di transizione in diversi contesti: startup, scale-up, grandi imprese. La sua esperienza ci offre uno spaccato prezioso su ciò che realmente serve per scalare un team di prodotto senza cadere nella trappola del “più persone = più confusione”.
Tradurre la visione del founder in direzione concreta
Uno dei primi problemi da affrontare è la mancanza di una direzione chiara. Molti team di prodotto crescono in un contesto dominato dalla visione del founder: decisioni prese in modo informale, obiettivi impliciti, direzioni basate sull’istinto.
Questo approccio può funzionare nei primi mesi, ma diventa un freno alla crescita. Quando il team si espande, serve qualcosa di più solido: metriche condivise, obiettivi misurabili, una strategia prodotto chiara che colleghi ciò che il team fa ogni giorno alla visione dell’azienda.
Secondo Charlotte King, la product strategy è lo strumento chiave per questa traduzione. Non una presentazione formale, ma un set chiaro di scelte strategiche che definiscono:
- quali user need l’azienda intende soddisfare;
- quali value proposition guidano il prodotto;
- cosa va fatto (e cosa no) per mantenere il focus.
Non basta essere product-led: serve una definizione condivisa
Un altro nodo è l’ambiguità: tutti dicono di voler diventare “product-led”, ma cosa significa davvero? In assenza di una definizione operativa, ogni team finisce per interpretarlo a modo proprio, e il risultato è spesso una sovrapposizione caotica di processi, priorità e aspettative.
Per superare questo impasse, Charlotte ha sviluppato una serie di strumenti di facilitazione per aiutare i leadership team a esplicitare cosa intendono per “product-led”, “scaling”, “valore per il cliente”. Senza questa chiarezza, scalare significa semplicemente “aggiungere persone”, non “migliorare il prodotto”.
Wardley Mapping per mappare la maturità del team
Uno degli strumenti più potenti utilizzati da Charlotte è una versione adattata del Wardley Mapping, normalmente impiegata per rappresentare componenti tecnologici e strategici di un business. In questo caso, viene invece applicato ai team e alle capability di prodotto.
Si parte da un bisogno utente esplicito (es. “diventare un’organizzazione realmente product-led”) e si mappano tutte le componenti organizzative rilevanti (es. customer centricity, uso dei dati, cultura della sperimentazione) lungo due assi:
- verticalmente, in base alla loro visibilità per il cliente;
- orizzontalmente, in base al livello di maturità (da “grezzo/sperimentale” a “commodity”).
Questo consente di evidenziare con chiarezza cosa manca e cosa va evoluto. Per esempio, in un caso concreto, la capacità di essere data-driven era del tutto immatura: non c’era un team di product analytics, i dati erano dispersi, i PM lavoravano in modo isolato con i fogli Excel.
Mappare questo stato ha permesso al team di fare un salto di consapevolezza e pianificare una roadmap di miglioramento concreta.
Guiding Principles per trasformare i comportamenti
La mappa, però, è solo l’inizio. Dopo la fase diagnostica, arriva quella delle guiding policies: principi guida che orientano i comportamenti del team e dell’intera organizzazione.
Tra questi:
- spostare il focus da “prodotto tecnologico” a “servizio end-to-end”;
- incentivare la collaborazione cross-funzionale (sales, supporto, marketing, tech);
- promuovere la cultura della sperimentazione e della misurazione;
- lavorare su outcome e non su output.
Questi principi sono stati condivisi in eventi aziendali, comunicati in modo visibile e ripetuti costantemente. Ed è proprio qui che Charlotte individua uno degli errori più comuni: non comunicare abbastanza. Anche le migliori strategie perdono forza se non vengono ribadite e rinforzate nel tempo.
Il modello DHM: Delizioso, Difficile da copiare, Margin Enhancing
Per scegliere le value proposition su cui puntare, Charlotte e il suo team hanno applicato un modello ispirato a Gibson Biddle, ex CPO di Netflix: il modello DHM.
Ogni proposta deve soddisfare tre criteri:
- Delight: sorprende positivamente il cliente;
- Hard to copy: difficile da replicare dai competitor;
- Margin enhancing: migliora la marginalità del business.
Questo filtro ha permesso di costruire un portfolio di iniziative che non fossero solo appealing o innovative, ma anche sostenibili e difendibili. Il DHM non è un framework da usare per ogni attività (es. la gestione delle fatture può restare un’attività “commodity”), ma è perfetto per scegliere dove investire quando si punta a differenziarsi.
Organizzare i team intorno al valore
Una volta definita la strategia, arriva la parte più delicata: la riorganizzazione dei team. Qui Charlotte ha applicato i principi di Team Topologies, creando team stream-aligned focalizzati su componenti strategiche del prodotto.
L’obiettivo non è solo tecnico, ma strategico: fare in modo che ogni team abbia una responsabilità chiara su un’area ad alto valore, senza sovraccaricarlo con troppa complessità.
Accanto ai team di stream, è stato istituito anche un platform team e un enablement team, quest’ultimo dedicato a standard, processi, miglioramento continuo e supporto alla delivery.
Il principio chiave? Un team di prodotto non è solo PM + dev + designer. Deve coinvolgere anche marketing, sales, legal e chiunque sia parte della filiera del valore.
Inceptions, ascolto attivo e piccoli segnali di progresso
Per rafforzare questa nuova organizzazione, ogni team è stato avviato con un’inception multidisciplinare. L’obiettivo non era solo capire cosa fare, ma anche creare relazioni, generare fiducia e condividere contesto.
Charlotte sottolinea un aspetto spesso sottovalutato: il cambiamento è difficile. È normale incontrare resistenza, dubbi, fatica. Ma per superare questi momenti serve una strategia di “motivazione visiva”: nel suo caso, un Miro board dove raccoglieva tutti i segnali positivi (“green shoots”) del cambiamento in atto. Slack, screenshot, testimonianze. Tutto ciò che poteva aiutare il team a ricordare: “Stiamo andando nella direzione giusta”.
Lezioni da portare nel nostro contesto
L’esperienza di Charlotte King non è un manuale astratto, ma un esempio concreto di cosa serve per far evolvere un team di prodotto quando l’azienda cresce.
Alcune lezioni che ogni tech leader dovrebbe considerare:
- Scalare non significa solo aggiungere persone, ma definire meglio ciò che conta.
- Il primo passo è sempre la chiarezza: strategia, user need, value proposition.
- Senza una guida condivisa, i team si muovono in direzioni diverse, anche in buona fede.
- I framework servono a far parlare meglio le persone, non a scrivere documenti.
- L’architettura organizzativa deve essere allineata ai flussi di valore, non ai silos funzionali.
- La comunicazione va ripetuta. Sempre.
- I piccoli segnali di miglioramento vanno riconosciuti e celebrati.
In un’epoca in cui l’ossessione per la delivery rischia di svuotare di senso il lavoro di prodotto, la lezione più importante è forse questa: scalare un team di prodotto significa ritrovare il senso del perché, non solo moltiplicare il cosa.
Per chi sta guidando la trasformazione di team e organizzazioni digitali, vale la pena esplorare più a fondo le strategie organizzative ispirate a Team Topologies, o approcci strategici come quelli raccontati nel libro “Vincere nel Tech” e nelle sessioni del Tech Leaders Club.