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Non è più tempo di prompt
C’è stato un momento in cui sembrava che il futuro del coding passasse per la scrittura creativa: bastava “parlare bene” a un modello linguistico, e lui avrebbe fatto il resto.
Poi è arrivato il vibe coding: un misto di intuito, prove su playground, modifiche a tentativi. Funzionava, finché i casi d’uso restavano giocattoli.
Ma oggi, chi sviluppa applicazioni basate su LLM – veri prodotti, non demo da hackathon – sa bene che la partita si gioca altrove. E quel luogo è il contesto, concetto che da tempo affermiamo essere cruciale anche nella conduzione di team umani.
Il contesto come nuova infrastruttura
Context Engineering è il nome che sta emergendo per definire questa nuova disciplina: costruire con precisione tutto ciò che serve al modello per svolgere un compito con successo. Non si tratta solo di “fare prompt migliori”. Si tratta di costruire l’intera architettura informativa e funzionale che rende possibile l’output desiderato.
Secondo Andrej Karpathy, co-fondatore di OpenAI, “ogni applicazione LLM di livello industriale si basa sulla capacità di riempire la finestra di contesto con esattamente le informazioni giuste, nel momento giusto”.
Non basta più un prompt brillante. Serve una regia completa: orchestrare documenti rilevanti, mantenere la memoria delle interazioni, integrare strumenti esterni, normalizzare i dati in ingresso, e presentare tutto al modello in un formato digeribile.
Prompt engineering: il passato prossimo
Il prompt engineering ha avuto il suo momento d’oro. Era il 2023, e si insegnava a “parlare con ChatGPT” quasi come se fosse un’arte esoterica. Il risultato? Una nuova generazione di professionisti digitali che credevano di poter sostituire codice e architettura con istruzioni in linguaggio naturale.
Ma i limiti sono presto diventati evidenti. Un prompt, da solo, non può compensare l’assenza di struttura.
Le applicazioni complesse, come gli agenti AI che agiscono nel mondo o le piattaforme enterprise che integrano AI generativa, non possono basarsi sul copywriting creativo. Hanno bisogno di una ingegneria del contesto.
Context engineering: cosa significa davvero
Context engineering non vuol dire “mettere più roba nel prompt”. Vuol dire:
- Costruire sistemi di recupero di contenuti (RAG) che iniettano il contesto rilevante in tempo reale.
- Progettare la memoria: decidere cosa ricordare, come comprimerlo, come ripresentarlo.
- Definire protocolli strutturati (es. JSON, DSL, interfacce semantiche) che il modello possa interpretare in modo affidabile.
- Iniettare strumenti (tool use) con chiamate e interfacce che il modello può attivare per svolgere task specifici.
- Sequenziare flussi logici (LangGraph, guardrails, orchestratori) che trasformano il “prompt” in un vero programma distribuito.
Il tutto, con una sola finalità: rendere plausibile per l’LLM la generazione corretta dell’output desiderato.
Perché falliscono i sistemi AI
Molte aziende pensano che i loro esperimenti AI falliscano perché “il modello non è abbastanza intelligente”. In realtà, spesso il problema è un altro: il contesto non è stato progettato in modo corretto.
Hai dato troppe informazioni? O troppo poche? Le hai scritte in linguaggio naturale quando serviva struttura? Hai trascurato la memoria? Hai fornito i documenti giusti ma nella forma sbagliata?
Le risposte sbagliate da parte di un modello sono spesso colpa non del modello, ma del sistema intorno a lui.
Un nuovo paradigma architetturale
Context engineering non è una tecnica. È una nuova visione dell’architettura software per l’era dei Large Language Model. Un paradigma che:
- rompe con la logica front-end/prompt/back-end
- porta la responsabilità della qualità dell’output sul sistema, non sul modello
- costringe CTO, CPO e AI Lead a ragionare in termini di orchestrazione, non di “magia generativa”
Framework come LangGraph stanno guadagnando terreno proprio per questo: offrono ai team controllo fine su ciò che entra nel modello, su quali step logici vengono seguiti e su dove si accumula lo stato.
La sfida non è far generare un testo a un modello. È farlo in modo ripetibile, robusto, governabile.
Implicazioni organizzative
Context engineering ha anche impatti profondi sull’organizzazione. Come ha osservato Ethan Mollick, docente alla Wharton School, costruire il contesto di un task AI significa anche:
- tradurre i processi aziendali in flussi dati strutturati
- riflettere la cultura interna (tono, linguaggio, aspettative) nel contesto fornito al modello
- codificare conoscenza tacita, reportistica, know-how operativo
In pratica, fare context engineering significa anche fare knowledge management. E progettare sistemi AI-ready significa anche disegnare l’identità operativa dell’azienda.
Dal playground alla produzione
Nel playground puoi affidarti all’intuito. In produzione no.
“Vibe coding”, oggi, è quasi un termine ironico. Descrive bene lo spirito iniziale di chi provava, riprovava, cambiava virgole finché “sembrava funzionare”. Ma l’intuizione non scala. E le app AI in produzione non possono essere sistemi fragili, soggetti a variazioni umorali nel wording.
Il vero salto di qualità è passare da tool carini a prodotti solidi, da prove e prompt a sistemi e contesti.
Conclusione: il contesto è la nuova interfaccia
Nel mondo degli LLM, il contesto è la nuova interfaccia utente. E chi progetta queste interfacce, chi le struttura, orchestra e mantiene… sta facendo context engineering.
È il nuovo cuore invisibile dell’AI applicata. Ed è lì che si vince – o si fallisce – la sfida dell’intelligenza artificiale in azienda.
Progettare un sistema AI che funziona davvero parte da qui: capire cosa serve al modello per fare bene il proprio lavoro. E questo vale anche per la tua azienda.
Se stai pensando di introdurre l’intelligenza artificiale nei tuoi processi o nei tuoi prodotti, prima di scegliere il modello, progetta il contesto. Sprint Zero è il punto di partenza giusto per farlo con criterio.