Indice
Negli ultimi anni il processo d’acquisto B2B è stato riscritto. Ma molti leader tech e imprenditori digitali stanno ancora giocando con le regole del decennio scorso, dove bastava una demo convincente o un listino competitivo per entrare in partita.
Ora non è più così. La partita si gioca prima. Prima della call. Prima della richiesta. Prima ancora che l’acquirente aziendale si consideri tale.
E ciò che decide chi entra in shortlist, chi riceve fiducia e chi viene scelto… è il brand.
Il mito dell’acquisto razionale nel B2B
Una delle illusioni più tenaci nel B2B è che i buyer scelgano in modo razionale, comparando funzionalità, specifiche e costi.
In realtà, come dimostrano ormai una lunga serie di ricerche, il comportamento d’acquisto è dominato da euristiche cognitive.
- Il 78% dei buyer B2B sceglie un prodotto che conosce già prima ancora di avviare la ricerca (TrustRadius, 2024).
- Il 71% tende a restare fedele al proprio vendor preferito anche dopo un processo di valutazione formale.
- Il 77% degli influencer d’acquisto valuta la notorietà del brand come un elemento cruciale per la fiducia (Forrester, Business Trust Survey).
- E l’83% di chi si fida di un brand intende fare business con lui a lungo termine.
Il brand non è un orpello estetico. È un attivatore di fiducia, selezione e lifetime value.
Se non sei noto, non vieni considerato. Punto.
Il problema principale oggi non è farsi preferire. È farsi considerare.
Lo studio Dentsu 2024 condotto su oltre 14.000 decision maker evidenzia un dato inquietante per molti vendor tech: nella maggior parte dei processi di acquisto, vengono valutati solo 2–5 fornitori. Chi non è già “nella testa” del buyer non ha nemmeno una possibilità.
Questo cambia completamente la logica della vendita: non si tratta più di “convincere” durante la trattativa, ma di farsi scegliere prima che inizi. Il vero campo da gioco è la disponibilità mentale (mental availability), concetto ben noto nel marketing ma ancora sottovalutato nei contesti tech.
La brand awareness è diventata un moltiplicatore di ricavi
Oggi i brand forti vincono non solo più spesso, ma vincono meglio:
- Chi gode di fiducia può spingere prezzi più alti, perché riduce il rischio percepito (LinkedIn B2B Institute + Ipsos).
- I brand noti vengono contattati per primi, gestiscono trattative meno complesse e ottengono decisioni più rapide.
- La consapevolezza del brand aumenta l’efficienza del funnel, perché i lead entrano già in uno stato avanzato di fiducia.
Eppure, nonostante questi dati, solo il 30% dei budget marketing B2B viene destinato al brand. La maggior parte delle aziende continua a sovra-investire in performance marketing, cercando conversioni dirette senza aver prima costruito lo spazio mentale per riceverle.
Un errore strategico che genera un altro dato allarmante: il 68% dei buyer B2B percepisce tutti i vendor come identici(Dentsu).
L’illusione del performance-first: investiamo al contrario
La cultura della misurabilità spinta ha portato negli anni i CFO e i marketing manager ad inseguire solo ciò che si può tracciare in tempo reale. È comprensibile, ma è anche profondamente miope.
Il Boston Consulting Group lo dimostra: per ogni 1 euro tagliato dal brand marketing, servono 1,85 euro per ricostruire la fiducia persa. Un debito cognitivo e percettivo che si somma alla perdita commerciale.
E il paradosso è che oggi è possibile misurare anche il valore del brand, ma pochi lo fanno davvero. Come riporta ancora lo studio Dentsu:
- Solo una minoranza di aziende esegue brand tracking regolare.
- Il 79% dei CFO dichiara di non vedere metriche chiare tra brand e ricavi, ma spesso perché nessuno le ha mai costruite o condivise.
Le aziende più intelligenti tracciano attivamente la percezione del proprio brand, verificano come viene attivato in situazioni d’acquisto reali, e misurano l’impatto delle campagne non solo su click e lead ma sulla mente del buyer.
Brand e tech leadership: un cortocircuito italiano
In Italia, il tema è ancora più delicato.
Molti founder tech, CTO, CEO e imprenditori digitali vedono il concetto di “brand” come qualcosa di secondario, o addirittura superfluo: una questione da pubblicitari, non da chi crea valore reale. Ma è un approccio che non regge più.
Oggi essere bravi non basta, se nessuno sa che lo sei. E se sembri identico agli altri, verrai scelto per il prezzo.
Chi guida una tech company non può delegare la costruzione del posizionamento. La brand authority deve diventare una priorità strategica, non un esercizio di stile.
Ed è proprio in questo snodo che entrano in gioco strumenti come l’Authority Snapshot, che aiutano a misurare la distanza tra come vieni percepito e come dovresti essere percepito.
Conclusione: se vuoi vendere ai buyer tecnologici, devi prima esistere nella mente
Se sei un tech vendor, una software house, una società di consulenza IT o un imprenditore digitale, la vera domanda oggi non è:
“Come possiamo migliorare il nostro pitch commerciale?”
ma:
“Siamo già nella testa del buyer prima che inizi la trattativa?”
Il posizionamento strategico e la brand authority non sono una parte del funnel. Sono il funnel.
Chi se ne accorge adesso ha un vantaggio enorme. Chi lo ignora continuerà a pagare sempre di più per lead peggiori, con margini più bassi e trattative più dure.
È il momento di cambiare approccio. E misurare ciò che davvero conta.