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Il mondo del retro computing ha appena vissuto un evento tanto inatteso quanto potenzialmente storico. Un nome che ha fatto la storia dell’informatica – e che da anni sembrava ridotto a un logo svuotato di significato – è ora pronto a rinascere. E lo farà grazie alla passione della community, non a una multinazionale.
Parliamo di Commodore. Sì, proprio quel Commodore. Il brand che ha dato i natali al Vic-20, al mitico Commodore 64 e all’Amiga. Il marchio che negli anni ’80 ha democratizzato l’accesso al personal computing e che, nel bene o nel male, ha plasmato l’immaginario digitale di un’intera generazione (di cui faccio parte io stesso).
A rilanciarlo oggi non è una holding asiatica o una big tech in cerca di facili capitalizzazioni di borsa. Bensì un gruppo di appassionati capitanati dallo youtuber Christian Simpson, noto nel mondo del retro computing come Perifractic. Un nome familiare per chi segue il canale Retro Recipes, punto di riferimento internazionale per i fan dei computer vintage.
Dalla licenza all’acquisizione totale
La storia inizia con un intento relativamente modesto: Simpson voleva ottenere una licenza d’uso del marchio per consentire alla community di produrre e vendere prodotti ufficiali a tema Commodore senza rischi legali o costi esorbitanti. Ma la risposta dei detentori del brand – la Commodore Corporation B.V. con sede nei Paesi Bassi – ha cambiato tutto: “Perché non acquistate direttamente l’intera azienda?”
Inizia così una trattativa durata mesi, fatta di negoziazioni, pitch a investitori e notti insonni. Il risultato è clamoroso: Simpson e il suo team hanno acquisito tutti i 47 marchi registrati internazionalmente legati a Commodore. Una mossa che non si limita al riuso simbolico del logo, ma che comporta la piena titolarità del brand, delle ROM originali e di tutto ciò che storicamente faceva parte dell’universo Commodore.
Il prezzo? Una cifra nella fascia bassa delle sette cifre, tra 1 e 3 milioni di dollari secondo le parole dello stesso Simpson. Ma con una differenza cruciale: l’operazione non è stata finanziata da fondi o private equity, ma da un network di investitori appassionati, tra cui – citiamo testualmente – “alcuni milionari e un paio di miliardari”.
Un team da leggenda (e non è una metafora)
Ciò che rende questa operazione diversa dalle tante tentate resurrezioni fallite del marchio è la qualità del team che si sta formando attorno al progetto. Non si tratta solo di creativi digitali e imprenditori. Ma di vere e proprie figure chiave dell’epoca d’oro di Commodore.
Bill Herd, storico ingegnere dietro al C128 e al Plus/4, è tornato come advisor tecnico. Albert Charpentier, creatore del chip SID e mente dietro il C64, è coinvolto nei nuovi progetti hardware. Michael Tomczyk, ex assistente del fondatore Jack Tramiel e padre del concetto di “user friendliness”, ha assunto il ruolo di advisor strategico. A loro si aggiungono David Pleasance, ex direttore generale di Commodore UK, e Jeri Ellsworth, inventrice del Commodore DTV che vendette oltre un milione di unità.
Come se non bastasse, anche l’attore Thomas Middleditch – noto per la serie HBO “Silicon Valley” – è salito a bordo come Chief Creative Officer. Un dettaglio che evidenzia come il progetto abbia anche un potenziale mediatico non trascurabile.
Una visione diversa: non solo nostalgia, ma futuro
Il progetto di rilancio guidato da Simpson parte da una consapevolezza chiara: la nostalgia da sola non basta a sostenere un’azienda. Eppure, è proprio la nostalgia ad aver motivato il team ad agire, per evitare che l’ennesimo marchio iconico venisse trasformato in un contenitore vuoto destinato al merchandise senza anima.
La strategia di rilancio di Commodore prevede:
- la produzione di nuovi prodotti hardware e software, con una chiara coerenza con l’identità del brand;
- la cessazione dell’uso generico del marchio su prodotti di bassa qualità o fuori contesto (come avvenuto negli anni passati);
- l’apertura di canali ufficiali per progetti della community, che potranno richiedere licenze ufficiali senza barriere legali o economiche;
- la trasformazione dell’azienda in una Public Benefit Corporation, con l’obiettivo statutario di promuovere il retro computing e la cultura digitale.
A livello di posizionamento strategico, Simpson ha parlato di “retro futurismo”: un modo per coniugare il fascino della tecnologia anni ’80 e ’90 con la sobrietà e l’efficienza che molti utenti oggi cercano in risposta all’overload digitale contemporaneo.
Il primo esempio? Un telefono Commodore progettato per il digital detox, senza notifiche push, social o app invasive. Un prodotto che fa leva su un sentimento crescente: il desiderio di riappropriarsi del proprio tempo e del proprio rapporto con la tecnologia.
Perché questa volta potrebbe funzionare
Dal 1994, anno del fallimento di Commodore, sono stati numerosi i tentativi di riportare in vita il marchio. Tutti falliti o sfociati in progetti inconsistenti. La differenza, oggi, è che a guidare l’operazione non c’è una logica opportunistica, ma una visione alimentata da passione, competenza e autenticità.
Simpson ha dichiarato di aver acceso un secondo mutuo sulla casa per finanziare l’operazione. Il team ha lavorato per mesi senza certezze, tra video, trattative e presentazioni a investitori. È anche per questo che molti vedono in questo rilancio un tentativo finalmente legittimo di riportare Commodore al centro del dibattito tecnologico, e non solo come feticcio del passato.
Ma attenzione: il progetto non è esente da rischi. I fondi per completare l’acquisizione non sono ancora stati interamente raccolti. L’obiettivo a medio termine è permettere anche alla community di investire, ma le complicazioni legali (soprattutto per gli investitori non americani) rendono difficile una campagna equity crowdfunding su larga scala.
Nel frattempo, il team sta lavorando su nuovi prodotti hardware, software e contenuti media, con l’obiettivo di rilanciare Commodore come ecosistema, non solo come brand. È già stato annunciato un ritorno della rivista Compute Gazette, nuove collaborazioni con artisti digitali e una serie di iniziative pensate per costruire una base solida di fan, clienti e partner.
Tra utopia tecnologica e riscatto generazionale
La narrativa che Simpson e il suo team stanno costruendo attorno al rilancio di Commodore è fortemente identitaria. Non è solo un’operazione commerciale. È una forma di riscatto per chi, da ragazzino, ha imparato a programmare digitando listati su un Commodore 64. Per chi ha passato i pomeriggi su Amiga 500 tra Kick Off, Lemmings e Shadow of the Beast. Per chi crede che la tecnologia possa ancora essere umana, ottimista e creativa.
Non a caso, uno degli slogan scelti è: “Commodore è tornato per darci il futuro che ci era stato promesso”. Un futuro fatto di dispositivi semplici, aperti, personali. Dove la tecnologia è uno strumento, non una dipendenza. Un concetto che risuona fortemente in un’epoca dominata da IA opache, piattaforme invasive e modelli di business che si nutrono dell’attenzione altrui.
Certo, si tratta di una visione idealistica. Ma in un mondo dove le grandi aziende tech sembrano sempre più distanti dai desideri reali degli utenti, forse c’è spazio per una tecnologia che nasce dal basso. E che mette le persone, non gli algoritmi, al centro.
Conclusione: il test decisivo sarà il prodotto
I prossimi 12 mesi saranno cruciali. Il team Commodore dovrà dimostrare di saper andare oltre l’effetto wow iniziale, portando sul mercato prodotti veri, funzionali, coerenti e competitivi. Dovrà consolidare la base economica del progetto, espandere il team e soprattutto evitare le trappole dell’improvvisazione o del fan service fine a sé stesso.
Ma se anche solo una parte della visione si concretizzerà, Commodore potrebbe davvero tornare a essere ciò che è stata: un simbolo di innovazione accessibile, creatività tecnologica e spirito pionieristico.
Il passato è una leva potente, ma il futuro si costruisce con metodo. E questa volta, per la prima volta da trent’anni, Commodore sembra avere entrambi.