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L’illusione del cloud come panacea
Il cloud computing è stato presentato per anni come la soluzione definitiva: flessibile, scalabile, più economico. Un’evoluzione naturale rispetto ai data center tradizionali, con la promessa di eliminare complessità e costi fissi. Ma la realtà operativa ha mostrato un volto molto diverso.
Molte aziende, spinte da una narrativa dominante incentrata sul risparmio, hanno adottato il cloud senza una strategia di lungo periodo.
Oggi, a distanza di anni, iniziano a emergere limiti concreti: costi fuori controllo, problemi di performance e rischi di compliance che rendono l’adozione massiva del cloud meno sostenibile del previsto.
Costi imprevedibili, valore opaco
Uno dei principali motivi di disillusione è la struttura dei costi. Le aziende si aspettavano un abbattimento delle spese, ma si sono ritrovate con fatture complesse, legate al consumo variabile di risorse, con voci spesso opache: egress fees, idle services, overprovisioning, snapshot dimenticati. Tutto questo ha minato la possibilità di un controllo efficace.
In molti casi, soprattutto per workload prevedibili e ad alto volume, i costi del cloud hanno superato quelli di un’infrastruttura on-premise ben gestita. La flessibilità si è trasformata in instabilità economica, rendendo difficile pianificare il budget IT.
Prestazioni e controllo: i nuovi driver di scelta
Il cloud è eccellente per ambienti elastici e imprevedibili. Ma dove serve latenza minima, alta affidabilità o throughput costante – come in ambito industriale, fintech o sanitario – le performance offerte dal cloud pubblico spesso non sono all’altezza.
Inoltre, molte aziende stanno riscoprendo il valore del controllo.
Avere infrastrutture in house consente di ottimizzare l’hardware, applicare policy su misura e ridurre i rischi di vendor lock-in.
In un’epoca in cui la tecnologia è parte integrante del business model, delegare tutto ai hyperscaler significa perdere leve strategiche.
Il ruolo crescente della compliance
Le normative sulla privacy e la protezione dei dati (GDPR, HIPAA, CCPA) stanno spingendo molte aziende a rivedere dove e come vengono conservate le informazioni sensibili.
In settori come finanza, sanità e pubblica amministrazione, l’adozione del cloud pubblico può complicare la conformità normativa, generando costi legali e rischi reputazionali.
L’on-premise, o un approccio ibrido ben progettato, può offrire una risposta concreta: controllo fisico dei dati, tracciabilità completa, minore esposizione a giurisdizioni estere.
Il ritorno dell’on-premise non è un dietrofront
Non si tratta di nostalgia tecnologica o di resistenza al cambiamento. Il ritorno all’on-premise (o la sua riscoperta) è una risposta razionale alle esigenze attuali: prevedibilità economica, controllo operativo, compliance rigorosa.
È una lezione utile anche per chi continua a puntare sul cloud: ogni scelta infrastrutturale dovrebbe partire da una domanda chiave che troppo spesso è stata ignorata: “Come questa architettura abilita il mio business, oggi e domani?”
Le trappole della repatriation
Passare dal cloud all’on-premise non è un’operazione semplice. Le aziende che hanno affrontato una migrazione cloud affrettata ora rischiano di ripetere lo stesso errore al contrario. Serve una valutazione lucida del Total Cost of Ownership (TCO), delle competenze interne, dei workload critici e delle implicazioni operative.
Non tutto va riportato on-premise. In molti casi, la soluzione ottimale è ibrida, ma richiede una governance chiara, un’architettura coerente e un piano di transizione realistico.
Il modello ibrido come via maestra
Sempre più aziende stanno convergendo verso modelli ibridi. Non solo per motivi tecnici, ma perché rappresentano un compromesso strategico: scalabilità per i workload elastici, performance e controllo per quelli critici. Il tutto orchestrato da una governance centralizzata.
Tecnologie come AWS Outposts, Azure Stack, Cisco+ Hybrid Cloud e soluzioni di osservabilità come Site24x7 o SolarWinds consentono oggi di costruire ambienti ibridi maturi, flessibili e sostenibili.
Il cloud resta una leva. Ma non è la sola.
Il cloud non è morto. Ma è uscito dal mito. Oggi è una delle opzioni disponibili, non la scelta obbligata.
I leader tecnologici devono uscire dalla logica binaria (cloud vs on-premise) e iniziare a ragionare in termini di architetture fit-for-purpose.
L’obiettivo non è essere “cloud native” a tutti i costi. È costruire un’infrastruttura che metta il business nella condizione di innovare, scalare e reagire al cambiamento. In alcuni casi, questo significa restare in cloud. In altri, tornare all’on-premise. In molti, disegnare un ibrido intelligente.
Se temi che le scelte infrastrutturali passate stiano rallentando l’evoluzione della tua azienda, può valere la pena di confrontarti con altri leader nel Tech Leaders Club o approfondire il tema nel podcast Pionieri del Tech.