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Nel mondo tech, pochi scandali riescono a condensare così bene i difetti sistemici dell’intero settore quanto il crollo di Builder.ai.
Un’azienda che prometteva sviluppo software automatizzato con intelligenza artificiale, ma che in realtà mascherava dietro una patina “smart” un modello di business basato su outsourcing umano, marketing gonfiato e operazioni finanziarie borderline.
La parabola di Builder.ai non è solo una storia di cattiva gestione. È il manifesto di un’epoca in cui si vende più la narrazione dell’innovazione che l’innovazione stessa. E per i leader tecnologici, questa vicenda contiene lezioni che sarebbe irresponsabile ignorare.
L’IA che non c’era: il teatrino di Natasha
Al centro del racconto c’è “Natasha”, l’assistente AI che avrebbe dovuto permettere a chiunque di creare applicazioni con una semplice conversazione. Ma non c’era nessuna vera intelligenza artificiale dietro quella voce gentile e artificiale.
C’erano invece centinaia di sviluppatori in India, istruiti a comportarsi come bot, a rispondere lentamente per simulare i tempi di elaborazione di un sistema AI, e a non rivelare mai la loro vera natura.
È una truffa? Tecnicamente, potrebbe anche non esserlo. Ma è una presa in giro sistematica del mercato, degli investitori, e soprattutto dei clienti. È un modello costruito sull’ambiguità, sulla suggestione tecnologica spinta all’estremo.
Ed è qui che sta la vera questione: quante altre startup stanno facendo la stessa cosa?
Perché la verità è che il mercato crede volentieri alle favole, purché siano raccontate con un pitch efficace e un bel logo.
I numeri gonfiati: round-tripping e illusionismo contabile
Il secondo livello del disastro riguarda la contabilità creativa. Builder.ai avrebbe messo in piedi un meccanismo con la società VerSe Innovation in cui si scambiavano fatture per servizi mai erogati, generando ricavi fittizi.
La pratica è nota come “round-tripping”: io fatturo a te, tu fatturi a me, e sui bilanci sembriamo entrambi in crescita. In questo modo l’azienda ha potuto mostrare ricavi moltiplicati per quattro rispetto alla realtà (220 milioni previsti nel 2024 contro i 55 effettivi).
Qui il problema è ancora più grave, perché non siamo più nel campo dell’iperbole di marketing, ma in quello delle manipolazioni contabili. È questa la miscela esplosiva che ha fatto saltare in aria Builder.ai, spingendo i creditori a congelare i fondi e trascinando l’azienda verso il default.
Il vero problema non è Builder.ai
Builder.ai è solo il sintomo. Il vero problema è un ecosistema che premia l’apparenza più della sostanza. Che continua a versare miliardi in aziende che promettono di “trasformare il mondo” senza mai chiedere: sì, ma come? E funziona davvero?
Le domande giuste spesso non vengono fatte. Né dagli investitori, né dai media, né da certi clienti troppo attratti dall’idea di risolvere problemi complessi premendo un bottone.
In questo contesto, chi lavora nel tech in modo serio, strutturato e trasparente si trova a combattere contro concorrenti che vendono miraggi a prezzi irragionevoli. E che, almeno finché il castello regge, raccolgono visibilità, clienti e capitali. Il caso Builder.ai ci mostra cosa succede quando questo sistema collassa.
Le lezioni per i tech leader e i CEO
Chi guida le imprese – CTO, CIO, Tech CEO – dovrebbe guardare questa vicenda con un occhio disincantato.
- Non basta più dire “usiamo l’AI”. Serve dimostrarlo, con casi concreti, con trasparenza tecnologica, con accountability tecnica e organizzativa.
- Il marketing senza sostanza è tossico. Per chi compra, per chi lavora, per chi investe. E prima o poi presenta il conto.
- La due diligence non è un optional. L’epoca dei funding “a occhi chiusi” dovrebbe finire. Chi investe o acquista tecnologia ha il dovere – non la facoltà – di verificare cosa c’è davvero sotto il cofano.
- Servono più CTO e meno illusionisti. Se l’azienda non ha solide competenze tech in casa o in advisory / Fractional CTO, è destinata a credere alla prima slide colorata che passa.
Considerazioni finali
Il caso Builder.ai non è solo una caduta aziendale. È il riflesso di un intero settore che ha smesso di controllarsi, troppo occupato a rincorrere narrazioni dirompenti invece che costruire valore reale.
In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale è sulla bocca di tutti, è il momento di distinguere tra intelligenza reale e teatrino algoritmico. E se sei un tech leader, non hai scuse: il tuo ruolo è proprio questo. Separare la sostanza dalla fuffa. Aiutare la tua azienda a non farsi fregare. E, possibilmente, non diventare anche tu un Builder.ai in miniatura.
Per approfondire questi temi in un contesto concreto e confrontarti con altri tech leader italiani, entra nel Tech Leaders Club o ascolta gli episodi del podcast “Pionieri del Tech”. Qui non troverai promesse esagerate, ma discussioni oneste su ciò che davvero funziona nel mondo tech.