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Il body rental è uno di quei fenomeni che si insinua silenziosamente nei meccanismi dell’IT, ma i cui effetti possono esplodere fragorosamente all’interno dei team, mettendo in ginocchio progetti, aziende e perfino carriere.
Nell’episodio 003 della serie Agency Horror Stories, ho raccolto la testimonianza di Daniele Palladino, Solution Architect e professionista con una solida esperienza nel settore software, che ha vissuto sulla propria pelle il lato oscuro di questa pratica.
Il suo racconto, denso di esempi concreti e considerazioni puntuali, offre una fotografia nitida di come il body rental, se non gestito in modo responsabile, si trasformi da soluzione tattica a problema sistemico.
Cos’è davvero il body rental e perché in Italia è così diffuso
Il body rental è una pratica ben nota a chi lavora nel tech: aziende che “affittano” risorse umane a clienti finali, spesso in logica time & material, senza che queste persone abbiano reale visibilità sul progetto, sugli obiettivi o sulle decisioni architetturali. La persona viene inserita “a comando”, spesso con un curriculum ritoccato per farla sembrare più aderente alle richieste del cliente.
In Italia il fenomeno è particolarmente pervasivo. Lo si ritrova sia nel privato che nella pubblica amministrazione, e spesso rappresenta l’unica porta d’accesso per chi vuole “mettere piede” nel mercato. Ma cosa succede quando questa porta si spalanca senza filtri, senza verifica delle competenze e senza un ecosistema che supporti la crescita professionale?
Quando il team diventa un ostacolo: la disomogeneità tecnica come zavorra
Nel suo racconto, Palladino descrive un episodio emblematico: inserito in un team di sei persone, si accorge che solo lui e forse un’altra persona avevano competenze tecniche adeguate per affrontare il lavoro. Gli altri? Ex elettricisti, parrucchieri, persone che fino a un mese prima non avevano mai visto un ambiente di sviluppo software.
Il risultato? Task semplici che diventano complessi, knowledge transfer che assorbono ore, rallentamenti continui. Il concetto stesso di “progetto software” sparisce, rimpiazzato da una rincorsa a spegnere incendi e coprire lacune.
Il vero danno: debito tecnico e crescita professionale azzerata
Quando i team sono popolati da figure non pronte (per colpa non loro, ma del sistema), il debito tecnico esplode. Le fondamenta del software si indeboliscono, il progetto si arena o diventa ingestibile. Non solo: chi ha competenze reali finisce per lavorare il doppio, si trova incastrato in ruoli non previsti e spesso viene danneggiato nella sua stessa reputazione.
Chi, come Palladino, ha affrontato questa situazione, racconta di momenti in cui si è sentito trattato come una “risorsa tappabuchi”, senza possibilità di crescita, formazione o anche solo di portare valore nel modo corretto.
Perché il problema del body rental non è solo il livello tecnico delle persone coinvolte, ma anche l’assenza totale di ownership sui progetti.
Curriculum ritoccati e training on the job: la distorsione sistemica
Uno dei momenti più significativi della conversazione è la descrizione del processo di selezione truccato: curriculum gonfiati, competenze inventate, “esperti PHP” che non hanno mai scritto una riga in quel linguaggio, backend developer piazzati su progetti frontend spinti, DBA usati come DevOps. Il tutto per “chiudere la commessa”, per “fare margine”, per “far girare la macchina”.
E quando qualcuno prova a chiedere un aumento, la risposta è: “Non possiamo, il cliente paga poco”. Una frase che, da sola, certifica la visione distorta del rapporto professionale, dove il valore della persona è legato alla tariffa venduta, non alle competenze o ai risultati generati.
La responsabilità non è solo delle persone: è di un intero modello
Palladino non se la prende con chi, per necessità, ha cambiato carriera. Anzi, riconosce il valore del reskilling. Ma è chiaro: inserire persone non pronte senza affiancamento, formazione o screening tecnico adeguato è un atto irresponsabile. E lo è ancora di più da parte delle aziende tech che si prestano a questo gioco.
Il problema è a monte: troppe aziende accettano lavori senza avere realmente le competenze necessarie, e cercano di rimediare con personale che costa poco. I danni, però, li pagano tutti: il cliente, il progetto, i professionisti seri, l’intero mercato.
Smart working e fine dell’alibi: il COVID ha smascherato tutto
Un passaggio interessante del racconto riguarda l’impatto dello smart working sul body rental. In presenza, chi aveva lacune riusciva a “galleggiare” con l’aiuto del team.
Ma da remoto, senza il supporto informale del collega alla scrivania accanto, le falle sono emerse in modo inequivocabile. E molte realtà si sono trovate costrette a rivedere il proprio approccio.
Cosa possiamo imparare da tutto questo
La testimonianza di Daniele Palladino è preziosa perché racconta ciò che tanti vivono ma pochi riescono a spiegare con lucidità: il body rental non è un male in sé, ma può diventarlo se usato come scorciatoia per fatturare senza valore.
Ecco alcuni segnali da intercettare per riconoscere contesti deteriori:
- Ti chiedono di parlare con il cliente che “decide se assumerti”.
- Non c’è chiarezza su progetto, ruolo, obiettivi.
- Il tuo CV viene “ottimizzato” senza trasparenza.
- Nessuno ti affianca o ti valuta realmente sul codice.
- Il tuo stipendio dipende direttamente da quanto “ti vende” il cliente.
Conclusione: serve una nuova etica del lavoro tech
Non basta denunciare il body rental: bisogna costruire alternative. Serve un’etica professionale più matura, che valorizzi le competenze vere, investa sulla crescita delle persone e protegga i progetti da derive tossiche. Le aziende tech hanno il dovere di essere filtro, non passacarte. I clienti devono imparare a riconoscere i segnali. E chi lavora, da qualsiasi background provenga, deve pretendere rispetto e meritocrazia.
Il futuro dell’IT italiano si giocherà anche su questo fronte.
Per chi vuole approfondire le dinamiche tossiche delle collaborationi tra aziende tech e consulenti esterni, consiglio anche l’episodio precedente di Agency Horror Stories, dedicato alla confusione dei ruoli tra agency e freelance.
E per una riflessione più ampia su come costruire carriera e autorità nel tech, il podcast Pionieri del Tech può offrire molti spunti concreti.