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Il contesto: regolamentare l’AI in corsa
Nel momento in cui l’intelligenza artificiale generativa sta trasformando in tempo reale interi settori industriali, la politica europea non si è tirata indietro. Anzi, ha premuto sull’acceleratore.
Nonostante una lettera firmata da 46 CEO di aziende europee – tra cui Bosch, Heineken, Siemens, Airbus, Renault e Zalando – in cui si chiedeva una moratoria di due anni sull’implementazione dell’AI Act, la Commissione UE ha confermato che il regolamento entrerà in vigore secondo la tabella di marcia prevista.
La motivazione ufficiale? “Nessuna ragione per rinviare l’AI Act”, secondo un portavoce UE. E, ancora più esplicitamente, il vicepresidente esecutivo Margrethe Vestager ha dichiarato: “L’AI Act è stato pensato proprio per regolare con flessibilità un campo in evoluzione”.
La decisione è destinata a fare storia. Ma anche a sollevare non pochi interrogativi per le tech company che operano in Europa.
Le pressioni dei CEO e la risposta della Commissione
Nella lettera aperta pubblicata a inizio luglio, i firmatari hanno espresso una preoccupazione chiara: l’Europa rischia di “regolamentare la propria leadership nell’AI fino a soffocarla”. Il timore non riguarda solo la burocrazia, ma l’impatto concreto su competitività, attrattività degli investimenti, capacità di innovazione e tempi di sviluppo.
Il CEO di Bosch, Stefan Hartung, ha parlato esplicitamente di un rischio per la “sovranità tecnologica dell’Europa”, sottolineando come il combinato tra regole troppo rigide e l’assenza di player in grado di rivaleggiare con gli hyperscaler statunitensi e cinesi potrebbe tagliare fuori l’UE dalla corsa globale all’AI.
La Commissione ha risposto con fermezza: il quadro normativo è già stato approvato e non ci sarà alcuna sospensione. Tuttavia, ha ribadito che l’implementazione sarà graduale, prevedendo ad esempio che alcuni obblighi diventeranno effettivi solo a partire dal 2026 per le imprese che sviluppano sistemi AI ad alto rischio.
I veri nodi: chi rischia di più?
Il regolamento distingue diversi livelli di rischio per i sistemi AI: inaccettabile, alto, limitato, minimo. A preoccupare di più le imprese europee è la categoria “high-risk”, che impone requisiti su trasparenza, tracciabilità dei dati, sorveglianza umana, documentazione tecnica, e governance complessiva del modello.
Il problema non è solo di compliance, ma anche di costi, tempo e responsabilità legale. Mentre i giganti come OpenAI o Google possono permettersi team legali e policy dedicate, molte imprese europee – anche medio-grandi – rischiano di trovarsi impreparate.
Non è un caso se nella lettera aperta i CEO chiedono all’UE di sostenere anche lo sviluppo industriale, non solo la regolamentazione. Di fatto, lamentano un vuoto di politica industriale.
L’Europa sta facendo la cosa giusta?
Da un lato, il tentativo dell’UE è quello di “regolare prima di rincorrere”, come già fatto in passato con il GDPR. La volontà è evitare che si ripetano le dinamiche di sorveglianza indiscriminata e sfruttamento dei dati che hanno segnato il web 2.0.
Dall’altro, però, l’AI non è solo una tecnologia: è una piattaforma di trasformazione. E regolarla in modo eccessivo prima che esistano infrastrutture solide, standard condivisi e attori europei realmente competitivi può rivelarsi una mossa autolesionista.
Il rischio non è solo di ostacolare l’innovazione, ma di incentivare la fuga di cervelli e capitali. Start-up e scale-up europee potrebbero scegliere di localizzarsi altrove, dove il contesto normativo è meno vincolante.
Cosa fare adesso: prepararsi, non lamentarsi
Al netto delle polemiche, il dato di realtà è uno: l’AI Act sarà operativo. Per molte imprese, in particolare quelle che offrono o integrano AI nei propri prodotti, non è il momento di alzare scudi, ma di organizzarsi.
Alcuni aspetti chiave su cui lavorare:
- Audit dei modelli AI in uso o in sviluppo, per verificare in quale categoria di rischio ricadono.
- Costruzione di una governance trasparente dell’AI, che tracci i dataset, i criteri decisionali, le logiche di inferenza.
- Design by compliance, ovvero progettare prodotti AI tenendo conto fin da subito degli obblighi normativi.
- Strategie di posizionamento, per differenziare l’offerta non solo sul piano tecnologico ma anche su quello etico e regolamentare.
In questo quadro, le imprese italiane del mondo tech devono muoversi con lucidità. Per alcune può essere una minaccia, per altre un’occasione per differenziarsi. Ma ignorare il tema non è più un’opzione.
Conclusione: regole chiare, esecuzione incerta
Il fatto che l’AI Act proceda secondo i piani non significa che il percorso sarà semplice. Molti aspetti operativi devono ancora essere definiti, dai meccanismi di controllo alle linee guida attuative, passando per le certificazioni.
Ma una cosa è certa: l’Europa ha scelto di giocare la partita dell’AI con le regole, non con la deregolamentazione. E chi fa impresa in questo contesto deve adattarsi in fretta, o rischia di restare tagliato fuori.
Per chi guida aziende tech o sviluppa prodotti basati su AI, è il momento di aprire un confronto serio, strategico e non ideologico sul proprio posizionamento futuro.
Chi vuole approfondire i temi strategici legati all’AI e alla tecnologia in Europa può farlo nei canali riservati del Tech Leaders Club, dove ogni mese si discutono i cambiamenti più rilevanti per chi guida l’innovazione.