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Il Vibe Coding è l’ultima ossessione del mondo tech.
Ma è anche il segnale più evidente di una frattura profonda: quella tra la cultura ingegneristica del software e una nuova estetica del codice in stile prompt-first, intuitiva, caotica, spesso improvvisata.
Dietro l’entusiasmo per strumenti come GitHub Copilot, Cursor o Replit, si nasconde un cambiamento strutturale nel modo in cui pensiamo, progettiamo e valutiamo il lavoro degli sviluppatori.
Oggi (più o meno) chiunque può “vibrare” un’app da 100.000 righe in poche settimane. Ma a che prezzo?
Cos’è davvero il Vibe Coding
Il termine è stato coniato da Andrej Karpathy, ex OpenAI, per indicare un approccio alla programmazione in cui l’AI genera codice sulla base di input naturali e intuitivi, più vicini al pensiero laterale che all’ingegneria sistemica.
Non si tratta di scrivere codice, ma di suggerirlo. Di “sentire” la direzione giusta, lasciando che sia il modello a riempire i vuoti.
Nel giro di pochi mesi, la pratica è esplosa. Cursor, Copilot, Replit, Bolt, Windsurf… ogni strumento promette di sostituire ore di lavoro con prompt ben congegnati. Sviluppatori professionisti, freelance, maker e persino imprenditori non tecnici si sono lanciati nel Vibe Coding con entusiasmo misto a incoscienza.
Ma proprio perché tutto sembra possibile, stanno emergendo anche le crepe.
Il lato seducente: prototipazione accelerata, barriere abbattute
Non si può negarlo: il Vibe Coding funziona. Almeno in superficie.
Startupper senza background tecnico hanno già pubblicato app AI-generated da 100.000 righe, portandole sul mercato in poche settimane e monetizzandole rapidamente. Progetti come Workcade (una to-do list gamificata) hanno raccolto centinaia di utenti nel giro di giorni.
Per CTO e team di prodotto, questo scenario ha due risvolti potenzialmente utili:
- Nella fase di prototipazione, riduce drasticamente il tempo necessario per validare un’idea;
- Nella fase finale, consente di generare rapidamente codice a partire da esempi già funzionanti, accelerando iterazioni e fork.
Come ha detto David Beale (DevOps OG), in fondo “vibrare codice” è solo l’evoluzione di un comportamento che già esisteva: copiare snippet da Stack Overflow, remixare soluzioni viste su GitHub, adattare quello che trovi in una chat Slack. L’AI generalizza tutto questo. È solo il passo successivo.
Eppure…
L’altro lato: caos, debito tecnico e apprendisti stregoni
Il primo a lanciare l’allarme è stato Greg Brockman, presidente di OpenAI. Intervistato nel podcast “Cheeky Pint” di Stripe, ha ammesso che “il Vibe Coding ha sottratto agli sviluppatori le parti divertenti della programmazione”.
Quelle che insegnano davvero a pensare, a progettare, a risolvere problemi. Oggi molti ingegneri si trovano ridotti al ruolo di revisori passivi del codice generato dall’AI. E questo, dice Brockman, “non è affatto divertente”.
Il rischio è duplice:
- Perdita di capacità tecnica nei team, che diventano incapaci di riscrivere o mantenere il codice se l’AI fallisce;
- Crescita incontrollata del debito tecnico, perché il codice “vibrazionale” spesso funziona, ma in modi non documentati, non ottimizzati e non sicuri.
Un caso emblematico è quello di Leo Jr., founder non tecnico di Enrichlead, un’app creata al 100% con Cursor per generare lead da indirizzi IP.
Dopo il lancio, in 48 ore è stato attaccato, bypassato, compromesso. L’LLM inventava dati, i costi salivano, gli utenti installavano uno script non sicuro.
Leo ha ammesso pubblicamente: “non sono tecnico, ci sto mettendo più del previsto a capire cosa succede”.
Morale della favola? Ora sta imparando a programmare. “Nel modo più difficile.”
Il Vibe Coding come liquido culturale
La grande illusione del Vibe Coding è far credere che stiamo semplificando il software. Ma in realtà stiamo solo nascondendo la complessità sotto il tappeto.
Adam D’Angelo, Director in Slalom, lo ha spiegato bene: “L’AI può generare codice vulnerabile, soggetto a injection, XSS, problemi di autenticazione. Ma il vero rischio è la manutenibilità”. Codice incoerente, non testato, privo di standard. Perfetto per fare demo, disastroso in produzione.
In più, l’uso inconsapevole di librerie open source può violare licenze e normative, specialmente nei settori regolamentati (sanità, finanza, pubblica amministrazione).
Non è solo un problema tecnico. È un problema culturale.
Come ha osservato Steven Donaghy (Microsoft): “L’AI amplifica quello che sei. Se sei un buon programmatore, diventi migliore. Se sei scarso, il codice peggiora”.
La vera posta in gioco: controllo, revisione, governance
Secondo un’analisi di Techzine Global, il vero nodo è che la revisione del codice non sta tenendo il passo con la sua generazione automatica. Il codice AI viene prodotto a una velocità insostenibile per qualunque processo di QA o code review tradizionale. Un esempio? GitHub Copilot genera codice con vulnerabilità nel 44% dei casi testati.
Se Microsoft, che dichiara che il 30% del suo codice è scritto da AI, non riesce a revisionarlo in tempo reale, come può farlo una PMI?
E non parliamo solo di bug. I modelli generativi introducono pattern di errore nuovi, diversi da quelli umani, spesso più subdoli. Come ha osservato l’articolo, servono strumenti di revisione nuovi, paradigmi nuovi. Ma per ora servono soprattutto umani competenti.
Vibe Coding non è Agile
Attenzione: chi difende il Vibe Coding spesso lo fa citando l’Agile come riferimento. Ma sono due cose molto diverse.
Agile nasce per dare feedback rapidi e costruire valore reale in modo iterativo. Il Vibe Coding, se non incanalato, rischia di produrre software che “funziona” ma non si capisce, non si evolve, non si integra.
È il paradosso: oggi siamo in grado di scrivere più codice, più in fretta, ma il risultato è spesso meno robusto, meno scalabile, meno utile.
Quando e come usare il Vibe Coding (senza bruciarsi)
Per i CTO, la domanda non è se usare il Vibe Coding. Ma quando.
Ecco una mappa decisionale utile:
Dove usare il Vibe Coding:
- Prototipazione rapida (MVP, test di mercato, PoC)
- Automazione interna (tooling, script, microservizi)
- Progetti a basso impatto (feature accessorie, landing page, interfacce sperimentali)
Dove evitarlo o incanalarlo:
- Core business logic
- Integrazioni critiche
- Progetti in ambienti regolamentati
- Codebase legacy complessa
- Sistemi con alto tasso di concorrenza/sicurezza/scalabilità
Come mitigarne i rischi:
- Implementare linee guida per prompt e revisione
- Istituire code review su AI output, anche automatizzate
- Addestrare i team su pattern di errore tipici dell’AI
- Separare ambienti “vibey” da quelli di produzione stabile
CTO, non abbassate la guardia
Il Vibe Coding non è una truffa. Ma può diventarlo, se viene trattato come una scorciatoia definitiva.
Come ogni innovazione, funziona solo dentro un framework culturale e tecnico chiaro. Serve disciplina, non magia. Il problema non è che la gente scrive meno codice “a mano”. Il problema è che molti stanno perdendo la capacità di capire cosa stanno costruendo.
Il codice è linguaggio. E il linguaggio è potere. Se deleghiamo troppo, smettiamo di pensare. E in un contesto dove AI agentiche iniziano a prendere decisioni su intere architetture software, non possiamo permettercelo.
Come dice un meme virale su LinkedIn, “cerchiamo sviluppatori con laurea in allineamento energetico e master in prevenzione retroattiva dei problemi”. Ecco, ridiamoci sopra. Ma torniamo seri in fretta.
Il codice senza cultura è solo rumore
In ultima analisi, il Vibe Coding è figlio del nostro tempo: veloce, performativo, orientato al risultato immediato. Ma il software non è solo delivery. È conoscenza codificata. È infrastruttura invisibile. È responsabilità.
Ogni CTO che oggi vibra codice dovrebbe domandarsi: sto accelerando l’innovazione o sto solo spostando i problemi più avanti nel tempo?
Non è il momento di scegliere tra AI e ingegneria. È il momento di unire le due cose, con lucidità.
E magari di ripassare i fondamenti, prima di affidarci troppo ai prompt.
Se questo articolo ti ha dato spunti utili, puoi approfondire questi temi anche nel Tech Leaders Club, nel podcast “Pionieri del Tech” o negli eventi riservati della community Tech Mastermind.