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Nel panorama della trasformazione digitale italiana, la Pubblica Amministrazione rappresenta da sempre un banco di prova complesso.
Burocrazia, carenza di competenze, processi obsoleti e resistenze culturali rendono la modernizzazione della macchina pubblica un terreno difficile, ma anche decisivo per la competitività del Paese.
Tra le aziende che hanno saputo affrontare questa sfida con visione e concretezza c’è Performer S.r.l., realtà bolognese fondata nel 1999 e guidata da Alfredo Olivieri, che da oltre vent’anni affianca regioni e enti pubblici nella gestione dei Fondi Strutturali Europei (FESR e FSE).
Olivieri ha un approccio poco convenzionale: per lui l’impresa è prima di tutto un atto di responsabilità sociale.
Non un mezzo per accumulare profitto, ma un sistema per generare valore condiviso. “I soldi servono per fare impresa, non il contrario”, spiega.
E non è solo retorica: in Performer nessuno può percepire uno stipendio superiore a cinque volte quello più basso e ogni anno utili e risultati vengono redistribuiti a tutti i collaboratori, proporzionalmente agli anni di presenza in azienda.
Un’impresa che sceglie la responsabilità
Questo modello ha effetti diretti sulla qualità del lavoro e sulla stabilità del team.
In Performer non esiste turnover: chi entra tende a restare. Non per vincoli contrattuali, ma per appartenenza.
Un equilibrio che nasce da una cultura basata sulla fiducia e sull’autonomia: ferie e permessi vengono gestiti in modo auto-organizzato, senza bisogno di autorizzazioni.
Un esempio concreto di come il valore della persona si traduca in efficienza e serenità operativa.
Il principio è semplice ma raro: “Buone persone fanno una buona azienda, non il contrario”.
Ed è lo stesso principio che guida Performer nella progettazione dei propri software: strumenti pensati per semplificare la vita ai cittadini, non solo per adempiere a un capitolato tecnico.
Software pubblici, ma umani
Tra i casi di successo più rilevanti citati da Olivieri spicca Sfinge 2020, la piattaforma della Regione Emilia-Romagna per la gestione dei fondi FESR, premiata dalla Commissione Europea come esempio di digitalizzazione efficace.
Un altro progetto emblematico è l’applicazione sviluppata per la Provincia autonoma di Trento durante la pandemia, che ha permesso di erogare rapidamente i “buoni servizio” ai cittadini in cassa integrazione.
Un processo prima cartaceo, trasformato in pochi giorni in un flusso digitale accessibile anche alle fasce più deboli.
“Digitalizzare significa ripensare i processi, non trasferire su computer la carta”, sottolinea Olivieri.
Un messaggio che tocca il cuore del problema: la digitalizzazione non è mera automazione, ma una forma di progettazione culturale, che ridefinisce linguaggi, ruoli e responsabilità.
Le sfide della PA italiana
Il nodo principale, secondo Olivieri, resta la mancanza di competenze digitali all’interno della PA e il conseguente ricorso eccessivo a fornitori esterni.
“La digitalizzazione deve restare un patrimonio interno, non un servizio appaltato”, avverte.
Il rischio, oggi amplificato dall’adozione accelerata dell’Intelligenza Artificiale, è quello di un “svuotamento” di competenze pubbliche a favore delle grandi multinazionali.
Per questo Performer sta lavorando su modelli di AI etica e governata, focalizzati sulla semplificazione dei controlli e sulla coerenza delle informazioni, senza mai sostituire la supervisione umana.
La visione è chiara: l’AI deve servire le persone, non sostituirle.
Una lezione per tutto l’ecosistema digitale
La storia di Performer dimostra che è possibile innovare nella PA mantenendo un’anima artigianale e cooperativa.
Un modello che potrebbe ispirare anche molte aziende private, in un’epoca in cui la fiducia interna e la sostenibilità sociale stanno diventando vantaggi competitivi.
Nel mondo tech spesso si parla di efficienza, meno di umanità. Performer prova che le due cose possono coesistere.
E che, quando accade, la tecnologia non solo funziona meglio, ma fa anche bene alle persone.
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