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Dalla “terza era del cloud” alla trasformazione reale
Per anni abbiamo parlato di cloud come se fosse soprattutto infrastruttura: server da accendere e spegnere a consumo, storage più flessibile, qualche vantaggio in termini di scalabilità e costi. Era la fase in cui il cloud era quasi sinonimo di “macchine virtuali”.
Poi è arrivata la seconda fase: il cloud infrastrutturale maturo. Le aziende hanno iniziato a usare il cloud per costruire ambienti dinamici, automatizzare il provisioning, introdurre logiche di resilienza, high availability, disaster recovery. Un grande passo avanti, ma ancora molto centrato sulla tecnologia vista come “plumbing”.
Oggi siamo altrove.
Siamo nella terza era del cloud: quella in cui il cloud diventa una piattaforma di trasformazione del business.
Non è più solo un posto dove ospitare workload. È l’infrastruttura che abilita nuovi modelli di servizio, supply chain più intelligenti, customer experience personalizzate, AI applicata al business. E, sempre di più, è il livello dove si gioca la partita della sostenibilità – ambientale, normativa, economica e di posizionamento del brand.
Nella conversazione con Davide Sommacampagna, Partner Engineer Manager in Google Cloud, questo passaggio emerge con chiarezza: il cloud come data cloud e come piattaforma di trasformazione, non come “data center di qualcun altro”.
Sostenibilità: non solo energia rinnovabile
Quando parliamo di sostenibilità nel cloud, molti pensano solo a:
“Il data center è alimentato da energia rinnovabile, sì o no?”.
È una parte importante, ma è solo l’inizio.
Gli hyperscaler – Google Cloud incluso – lavorano da anni su efficienza energetica, acquisto di energia rinnovabile e riduzione delle emissioni nette. Per il cliente enterprise questo ha due implicazioni:
- Impatto operativo
Il data center di partenza è molto più efficiente di quello che la maggior parte delle aziende potrebbe costruire da sé, sia in termini di consumi che di ottimizzazione delle risorse. - Scelta consapevole e misurabile
Non basta “fidarsi” del fornitore: oggi le aziende vogliono misurare. Vogliono sapere come cambia l’impatto ambientale scegliendo una regione invece di un’altra, un servizio invece di un altro, un’architettura invece di un’altra.
Qui entra in gioco il concetto di shared responsibility applicato alla sostenibilità:
- il cloud provider ha la responsabilità di progettare infrastrutture efficienti, utilizzare energia rinnovabile, dare visibilità sulle emissioni, fornire strumenti per ottimizzare consumi e carichi
- l’azienda cliente ha la responsabilità di usare bene queste risorse: spegnere ciò che non serve, progettare architetture efficienti, monitorare e ottimizzare in modo continuo.
La sostenibilità quindi non è solo una questione “green” astratta. È un tema operativo, tecnologico e strategico che impatta:
- Regolamentazione (CSRD, tassonomie, criteri di investimento)
- Scelte dei clienti, sempre più sensibili alla trasparenza sulla filiera
- Accesso ai capitali, perché gli investitori guardano alla sostenibilità come criterio di rischio/opportunità
- Employer branding: i talenti migliori vogliono lavorare in aziende che prendono sul serio questi temi, non che li trattano come marketing
La sostenibilità come leva per nuovi modelli di business
C’è un passaggio chiave: la sostenibilità non è solo un vincolo, è un driver di innovazione.
Alcune aziende, usando data cloud e AI, stanno integrando:
- dati interni (produzione, supply chain, logistica, consumo energetico)
- dati esterni (open data, dataset ambientali, dati socio-economici, indicatori di rischio)
per ripensare la propria supply chain: scegliere fornitori, rotte, materie prime e partner anche in funzione dell’impatto ambientale e sociale, non solo del prezzo e dei tempi di consegna.
Il risultato non è solo una reportistica ESG più bella da esibire, ma:
- nuove metriche per valutare fornitori e partner
- prodotti e servizi pensati “sostenibili by design”
- capacità di comunicare al cliente finale un valore concreto: non solo “ti vendo X”, ma “ti vendo X con un impatto ambientale trasparente e migliorato”
Il cloud, in questo scenario, diventa:
- la piattaforma dove aggregare e modellare i dati
- il luogo dove costruire servizi B2B e B2B2C che espongono queste informazioni via API
- il livello di astrazione che consente di scalare questi servizi a clienti e mercati diversi
Dati: da patrimonio dormiente a motore della trasformazione
Qui arriva il punto dolente per molte aziende: i dati.
Tutti parlano di “data-driven”, ma la realtà spesso è questa:
- dati spezzettati in silos di business unit, applicazioni legacy, sistemi verticali
- dati non strutturati (documenti, immagini, audio, video) mai veramente analizzati
- dati ridondanti, incoerenti, incompleti
- progetti di BI e reportistica che non reggono l’urto di volumi, varietà e velocità dei dati moderni
Nel frattempo, il contesto si è complicato:
- i sistemi sono distribuiti (edge, IoT, mobile, multi-region)
- il cloud è sempre più multi-cloud
- i device degli utenti hanno capacità di calcolo che prima erano solo lato server
Se non esci da questa trappola, l’AI e il machine learning restano feticci da presentazione, non strumenti che cambiano il conto economico.
“Break the silos”: la logica del data cloud
Il cambio di passo avviene quando smettiamo di pensare ai dati come a un sottoprodotto delle applicazioni e iniziamo a progettarli come prodotto aziendale.
Qui entrano in gioco:
- piattaforme come BigQuery e, più in generale, il concetto di data cloud
- architetture che permettono di interrogare dati dove si trovano, senza dover riscrivere tutto
- connettori e servizi che integrano fonti eterogenee (SQL, NoSQL, file, streaming, log, sistemi esterni)
Il principio è chiaro:
Non è realistico chiedere a un’azienda con anni di storia di buttare via tutto e riprogettare da zero.
È realistico costruire una piattaforma dati che “rompa i silos” e li renda integrabili.
Qui le caratteristiche critiche sono:
- multi-formato: supportare dati strutturati, semi-strutturati e non strutturati
- multi-cloud / ibrido: lavorare con dati che non sono tutti nello stesso hyperscaler o data center
- serverless: evitare di bloccare la trasformazione in discussioni infinite sul sizing dell’infrastruttura, prima ancora di capire quali domande di business vogliamo fare ai nostri dati
Il focus si sposta da “quante VM mi servono” a “quali insiemi di dati devo mettere in relazione per prendere decisioni migliori”.
AI e machine learning: tre livelli, zero feticismo
Molte aziende si schiantano sull’AI per due motivi:
- Dati di qualità insufficiente o governance assente
- Ambizione fuori scala rispetto alle competenze disponibili
Ha senso ragionare su tre livelli di adozione:
- Estensioni AI “native” nel linguaggio dati
Esempio: estensioni di machine learning direttamente in SQL per fare predizioni basate sulle tabelle esistenti. È il modo più rapido per iniziare a estrarre valore, senza costruire un team di data scientist da zero. - Servizi AI preconfezionati e adattabili
Riconoscimento di immagini, estrazione di entità da testo, speech-to-text, analisi di sentiment, contact center intelligenti. Qui l’azienda porta il proprio dominio (esempi, dataset, casi d’uso) su building block già pronti. - Modelli di dominio gestiti da team dedicati (data scientist, ML engineer)
È il livello più avanzato, dove costruisci modelli specifici per fraud detection, lifetime value prediction, recommendation engine, ottimizzazione di pricing, ecc.
Il punto è: non tutti devono partire dal livello 3.
Anzi, nella maggior parte dei casi è un errore.
Ha molto più senso:
- partire dal livello 1 e 2
- usare la piattaforma per ridurre la frizione tecnica
- salire di livello quando l’organizzazione ha maturato dati, casi d’uso e competenze sufficienti
Come si deve organizzare l’azienda attorno ai dati
A tecnologia costante, l’elemento che fa la differenza è l’organizzazione.
Quello che vediamo emergere nel mondo dei clienti più maturi è un pattern ricorrente:
- Center of Excellence (CoE) cloud e dati
- Un team trasversale che definisce linee guida, standard, servizi comuni
- Non solo infrastruttura, ma anche data platform, sicurezza, governance
- Architetti e product owner del dato
- I servizi dati interni vengono trattati come prodotti: hanno una roadmap, utenti interni, KPI
- Le business unit diventano consumer di questi prodotti, non costruttori isolati di proprie soluzioni
- Data governance e data mesh
- Il dato viene esposto come servizio, con API e policy chiare
- Ogni dominio ha responsabilità sui propri dati, ma li rende utilizzabili dagli altri in modo controllato
- Lineage, cataloghi, tagging e controlli di accesso sono parte integrante della piattaforma, non un’aggiunta a posteriori
- Accesso ai dati collegato ai ruoli, non alle gerarchie
- Chi deve prendere decisioni deve poter vedere i dati che contano, nei tempi giusti
- Il tema sicurezza si sposta da “blocchiamo tutto” a “abilitiamo chi serve con i giusti confini”
In questa logica, parlare di data mesh non è un esercizio di buzzword, ma il riflesso di un cambio culturale: il dato non è di una BU, è un asset aziendale con responsabilità distribuite.
Cosa deve fare oggi un Tech CEO / CTO
Riassumo le mosse concrete che un Tech CEO, CTO o CIO dovrebbe portare a casa da questa conversazione:
- Riposizionare il cloud a livello strategico
Smettere di parlarne solo in termini di costi infrastrutturali e iniziare a collegarlo in modo esplicito a:- nuovi modelli di business
- sostenibilità e accesso a capitali
- data strategy e AI
- Mettere in piedi un data cloud serio
Non basta un data warehouse “pompato”. Serve:- una piattaforma dati capace di integrare fonti eterogenee e multi-cloud
- un modello di governance chiaro
- strumenti che riducano la frizione per i data consumer interni
- Partire da casi d’uso concreti
Smettere di parlare di AI in astratto e chiedersi:- dove oggi perdiamo soldi o opportunità perché non vediamo i dati giusti?
- quali decisioni prendiamo “a naso” che potrebbero essere guidate da dati?
- cosa potremmo offrire ai nostri clienti se avessimo una vista integrata dei loro comportamenti e del contesto?
- Trattare i dati come prodotto, non come by-product IT
Identificare owner, roadmap, KPI per i servizi dati interni, esattamente come faresti per un prodotto esterno. - Usare la sostenibilità come leva, non solo come adempimento
Collegare cloud, dati e AI a:- scelte di supply chain
- posizionamento del brand
- attrazione di talenti e investitori
Chi saprà fare questi passaggi userà il cloud non per “spendere meno rispetto al data center”, ma per costruire un’azienda oggettivamente diversa: più informata, più rapida, più attrattiva e – sì – più sostenibile.