Indice
Introduzione
Nel mondo della tecnologia, la narrazione dominante è quasi sempre la stessa: si parla di linguaggi di programmazione, architetture, automazioni e algoritmi. Eppure, come ricorda Alessandro Lannocca, Tech Leader e IT Project Manager con oltre quindici anni di esperienza tra web agency, e-commerce e digital transformation, “nessun progetto tecnologico nasce o si conclude senza persone”.
La sua riflessione, maturata in anni di gestione di team e piattaforme digitali per realtà come Talea Group, una delle principali aziende italiane nel settore pharma e della farmacia online, rimette al centro un concetto tanto semplice quanto spesso dimenticato: la tecnologia funziona solo se le persone la capiscono, la accettano e la fanno propria.
Il fattore umano: l’ingrediente invisibile della tecnologia
Lannocca parla di tecnologia come un ecosistema di relazioni, non come un insieme di strumenti. “Un progetto digitale nasce sempre da persone e arriva sempre a persone. Anche quando parliamo di automazione o intelligenza artificiale, alla fine il risultato si traduce in un’esperienza umana.”
Questa visione mette in discussione un approccio ancora troppo diffuso nel mondo IT: quello tecnocentrico, in cui il successo è misurato solo in termini di performance o consegna. Alessandro suggerisce invece una metrica diversa, quella dell’adozione reale: se gli utenti non lo usano, un software perfetto sul piano tecnico resta un fallimento.
“Puoi sviluppare il sistema più efficiente del mondo,” afferma, “ma se chi lo deve utilizzare non lo comprende o non si sente coinvolto, il valore si azzera.”
Il punto è che la tecnologia non è neutrale. È modellata da chi la progetta e interpretata da chi la usa. Tra questi due poli, c’è un ponte fatto di comunicazione, fiducia e ascolto.
Ascolto attivo: la prima competenza di un Project Manager evoluto
Nell’intervista, Alessandro Lannocca descrive con chiarezza la fase di analisi come il momento più critico dell’intero ciclo di vita di un progetto. “L’analisi è il primo touchpoint umano. È lì che si decide se un progetto sarà compreso, adottato e valorizzato o se invece resterà solo un esercizio tecnico.”
La differenza la fa la capacità di ascoltare davvero. Non si tratta solo di raccogliere requisiti funzionali, ma di comprendere le motivazioni dietro le richieste, gli attriti, i comportamenti quotidiani delle persone coinvolte.
“Bisogna imparare a leggere tra le righe,” spiega Alessandro, “perché le necessità reali raramente sono esplicitate. A volte emergono solo osservando come lavorano le persone o ascoltando ciò che si lamentano di più.”
In questo senso, l’ascolto è una forma di intelligenza relazionale, non una procedura. È un processo continuo che deve accompagnare tutto il progetto, non solo la fase iniziale.
Perché un errore nell’interpretazione dei bisogni iniziali costa caro: “Perdersi informazioni chiave all’inizio significa trovarsi in difficoltà alla fine. E quando succede, il costo del recupero è esponenziale.”
Relazioni e fiducia: il codice invisibile dei team tech
“Il Project Manager,” dice Alessandro, “è un traduttore universale. Traduce tra linguaggi diversi: tra cliente e sviluppatore, tra utente e stakeholder, tra business e tecnologia.”
Un ruolo intermedio, spesso sottovalutato, ma in realtà decisivo: se manca questa traduzione, il messaggio si distorce, il team si disallinea e il progetto deraglia.
Le relazioni interne sono quindi il vero motore dei progetti IT. Non basta che il codice funzioni: devono funzionare anche le interazioni tra le persone che lo costruiscono e quelle che lo utilizzeranno.
Per questo Alessandro insiste sull’importanza della fiducia reciproca.
“Con i clienti interni o esterni devi costruire un rapporto che permetta di dire la verità. Anche quando c’è un errore, anche quando bisogna tornare indietro. Se il rapporto è sano, si può farlo senza paura.”
Il Project Manager non è un controllore, ma un facilitatore. È colui che crea le condizioni per la collaborazione, smussa i conflitti, traduce esigenze e priorità in linguaggio operativo.
In un contesto tecnologico sempre più complesso, questa è una delle skill più strategiche.
Post-vendita e adozione: il progetto non finisce con la consegna
Uno degli insight più forti dell’intervista è il concetto che il ciclo di vita del progetto non termina con il rilascio.
Alessandro spiega che molti software falliscono non perché siano costruiti male, ma perché vengono abbandonati troppo presto.
“La fase di post-vendita è quella in cui si misura la distanza tra ciò che è stato progettato e ciò che viene effettivamente usato. Un buon PM deve rimanere sul campo, osservare, raccogliere feedback e capire cosa non funziona davvero.”
Il riferimento è alla fase di adozione, quella in cui le persone iniziano a utilizzare la nuova soluzione. Qui entra in gioco l’empatia: comprendere le difficoltà, le resistenze, le abitudini che impediscono il cambiamento.
“Un software non adottato è una perdita economica e organizzativa. Ogni giorno in più in cui non viene usato al massimo della sua efficienza è un costo.”
Per questo, secondo Alessandro, il post-progetto deve includere formazione, affiancamento e ascolto continuo. È il momento in cui si consolida la fiducia e si costruiscono le basi per progetti futuri.
E-commerce, UX e dati: dove l’ascolto diventa misurabile
Nel mondo dell’e-commerce, il fattore umano assume un’altra forma: quella dei dati comportamentali.
“L’ascolto, in questo contesto, passa attraverso i numeri,” spiega Alessandro. “Ogni clic, ogni tempo di permanenza, ogni abbandono di carrello è una forma di feedback.”
Qui la tecnologia e l’empatia si incontrano in modo interessante: la data analysis diventa una forma di ascolto collettivo.
Ma attenzione: interpretare i dati richiede sensibilità, non solo competenza tecnica.
“Spesso ci si innamora di soluzioni esteticamente belle ma inefficaci. I dati servono proprio per liberarci dai bias personali e far parlare l’utente.”
Secondo Lannocca, la vera competenza di un PM digitale non è sapere tutto di tecnologia, ma saper leggere il comportamento umano attraverso la lente dei numeri.
Non basta ottimizzare l’interfaccia, serve comprendere la psicologia dell’utente, le sue abitudini, la sua percezione del valore.
In un certo senso, i dati sono una forma moderna di empatia.
L’intelligenza artificiale e il paradosso dell’umanità aumentata
Nella parte finale della conversazione, emerge un tema implicito ma cruciale: il ruolo dell’AI nel futuro del fattore umano.
Molti temono che l’intelligenza artificiale riduca la componente umana nei processi tecnologici. Ma secondo Lannocca, è l’esatto contrario.
“Più la tecnologia diventa autonoma, più serve sensibilità umana per governarla. L’AI può automatizzare processi, ma non può sostituire il giudizio, l’intuito o la capacità di mediazione.”
In altre parole, il Project Manager del futuro sarà sempre più un mediatore tra intelligenze: quella umana e quella artificiale.
E il suo valore sarà proprio nella capacità di umanizzare l’automazione, rendendo le soluzioni tecnologiche comprensibili, accessibili e inclusive.
Una lezione per le aziende: la tecnologia non basta
L’intervista con Alessandro Lannocca lascia una lezione chiara per le imprese: la trasformazione digitale non si compra, si costruisce. E si costruisce sulle relazioni.
Formare figure capaci di unire competenza tecnica e intelligenza emotiva è la vera sfida delle organizzazioni tech di oggi.
Il futuro appartiene a chi saprà integrare il fattore umano nel cuore della tecnologia: perché, come dimostra ogni grande progetto IT, non è il codice a fare la differenza. Sono le persone che lo scrivono, lo usano e lo migliorano.