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Nel 2025 è impossibile non parlare di AI, automazione, nuove esperienze utente e data-driven everything. Sono le parole d’ordine del momento, e ogni azienda che vuole apparire innovativa le ha inserite nella roadmap. Ma sotto il cofano? Troppo spesso c’è ancora un motore che risale a due, tre, talvolta quattro decenni fa.
Ecco il punto che in pochi amano ammettere: puoi lanciare tutti i progetti AI del mondo, ma se l’infrastruttura su cui poggiano è fragile, disallineata o irrecuperabilmente obsoleta, il risultato sarà un castello di carte.
La modernizzazione IT non fa notizia. Ma è la condizione per cui tutto il resto può funzionare.
Perché la modernizzazione viene rimandata
C’è una ragione precisa per cui le iniziative di modernizzazione vengono sempre dopo tutto il resto: sono noiose.
Non attirano l’attenzione del board, non muovono il marketing, non promettono “effetti speciali” visibili all’utente finale. Richiedono investimenti importanti, tempi lunghi e una pazienza operativa che nel mondo digitale sembra sempre più rara.
Nel frattempo, però, si accumula debito tecnico. Un concetto spesso sottovalutato, ma che ha effetti molto concreti:
- Costi di manutenzione sproporzionati, spesso non scalabili.
- Scarsa interoperabilità con nuove tecnologie e API.
- Difficoltà a trattenere talenti, che rifiutano di lavorare su tecnologie legacy.
- Cicli di rilascio lenti, pieni di workaround e colli di bottiglia.
- Rischi di sicurezza elevati, soprattutto in ambiti come finance, health, energy.
Eppure, il vero rischio non è solo “continuare così”. Il rischio è che, al primo progetto strategico, ci si accorga che l’infrastruttura non regge. Che non puoi scalare. Che l’AI non può essere integrata. Che ogni innovazione si arena su problemi strutturali che andavano affrontati anni fa.
La trappola dell’innovazione apparente
Una delle illusioni più diffuse nel 2024-2025 è credere che basti integrare una dashboard AI o un chatbot intelligente per diventare un’azienda moderna.
È il classico effetto “vernice nuova su fondamenta marce”.
La modernizzazione non si vede subito, ma si sente:
- Quando i team possono rilasciare codice in giorni, non in mesi.
- Quando l’onboarding di nuovi dev richiede ore, non settimane.
- Quando puoi integrare un nuovo sistema o servizio senza dover riscrivere mezza architettura.
- Quando puoi pensare all’AI non come a un gadget da showcase, ma come a un layer nativo nei tuoi processi.
Modernizzare significa costruire un terreno solido. È noioso, sì. Ma è ciò che ti mette in condizione di giocare davvero.
Come approcciare la modernizzazione in modo sostenibile
La chiave è non pensare alla modernizzazione come a un progetto da milioni “tutto o niente”. È un processo, non un big bang.
Ecco alcuni principi strategici:
1. Valutazione continua del debito tecnico
Non basta sapere che “c’è del legacy”. Serve una diagnosi tecnica e strategica: dove blocca l’innovazione, dove aumenta il rischio, dove genera inefficienze. Misurare il debito tecnico è il primo passo per trasformarlo da problema cronico a progetto concreto.
2. Modularizzazione progressiva
I monoliti vanno scomposti, ma con intelligenza. L’obiettivo non è fare microservizi “per moda”, ma creare modularità dove serve davvero: dominio per dominio, in base al valore che sblocca.
3. Dual speed architecture
Alcune componenti devono muoversi lentamente, altre devono essere agili. Saper convivere con entrambi i ritmi è parte della maturità architetturale. Non si tratta di eliminare il legacy in blocco, ma di isolarlo e costruirci attorno il nuovo.
4. Team cross-funzionali e ownership chiara
La modernizzazione non è un tema solo tecnico. Serve governance. Serve un commitment trasversale tra IT, business, sicurezza e operations. E serve soprattutto qualcuno che ne abbia la responsabilità.
5. Roadmap orientata al valore
Non modernizzare “perché sì”, ma per ottenere risultati concreti: minori costi operativi, maggiore time-to-market, possibilità di lanciare nuove linee di prodotto. Ogni fase deve avere una ricaduta tangibile.
Il 2026 premierà chi ha fatto i compiti
Tutte le previsioni indicano che nel 2026 ci sarà un’accelerazione verticale dell’adozione AI, del consolidamento cloud, della domanda di interoperabilità nei processi. Le aziende che avranno già una base solida potranno correre. Le altre resteranno impantanate in sprint che sembrano maratone.
La modernizzazione IT non è sexy, ma è strategica.
È un atto di lucidità. Di leadership.
È il lavoro noioso che permette all’innovazione di diventare reale.
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