Indice
Introduzione
Nel contesto attuale, caratterizzato da un aumento della domanda di profili tech e da una crescente fluidità del lavoro da remoto, molte aziende faticano ad attrarre e trattenere sviluppatori di talento.
Ma il problema non è solo quantitativo: riguarda anche il modo in cui le aziende comunicano chi sono, come lavorano e quali valori offrono.
A partire da questi spunti, nell’episodio 057 del CTO Show – parte del podcast Pionieri del Tech – Alex Pagnoni ha intervistato Nicola Fornaciari, CTO di Madisoft, una software house specializzata in soluzioni SaaS per il mondo scolastico.
Un confronto che offre spunti più ampi su come il posizionamento valoriale e la comunicazione tecnica possano incidere sulla capacità di attrarre professionisti di qualità.
Le persone come infrastruttura critica
Secondo Nicola, uno dei problemi più sottovalutati del settore è la difficoltà di strutturare in modo rigido e standardizzato lo sviluppo software: troppo variabile, troppo dipendente dalla competenza e dalla motivazione individuale.
Questo rende la ricerca dei talenti un’attività strategica e non delegabile, soprattutto per aziende che operano in contesti complessi o su prodotti critici per l’utenza finale.
In questo scenario, le soft skill diventano tanto importanti quanto le competenze tecniche. Vengono valorizzate la capacità di collaborare in modo costruttivo, la passione per l’apprendimento continuo e una propensione all’autonomia operativa.
Non tutti i team sono compatibili con un approccio di questo tipo, ma quando lo sono, la selezione dei candidati deve tenerne conto fin dalle prime fasi.
Lavorare sulla visibilità prima del bisogno
Una delle strategie discusse durante l’intervista riguarda l’anticipazione del bisogno di recruiting tramite un lavoro di visibilità coerente nel tempo.
Partecipare a eventi di settore, condividere contenuti tecnici, intervenire in conferenze con talk su sfide reali: sono tutte pratiche che aumentano la riconoscibilità del brand tecnologico e costruiscono credibilità nella community.
Rispetto ai canali tradizionali (come job board o agenzie), questo approccio consente di intercettare candidati già allineati al tipo di problemi che l’azienda affronta. Inoltre, permette di veicolare aspetti che difficilmente emergono da un annuncio: il contesto tecnico, i valori culturali, le modalità organizzative.
Il processo di selezione come esperienza
Altro punto critico emerso è la necessità di rivedere i processi di selezione. In un mercato dove i candidati di qualità ricevono numerose offerte, prolungare inutilmente gli iter rischia di compromettere l’interesse del candidato e l’efficacia della selezione stessa.
L’esperienza raccontata nell’intervista suggerisce un modello basato su screening iniziali mirati e una riduzione drastica del numero di colloqui, puntando alla rapidità di risposta e alla chiarezza nelle comunicazioni.
Una scelta che favorisce anche la trasparenza reciproca e permette alle aziende di misurarsi su un piano più relazionale che burocratico.
Onboarding in ambienti full remote
La fase di inserimento – soprattutto in contesti 100% remote – rappresenta una criticità ricorrente. La distanza fisica può ostacolare sia l’assorbimento tecnico sia l’integrazione culturale.
Per affrontare questo limite, si stanno diffondendo modelli che prevedono affiancamento virtuale, sessioni di feedback frequenti e momenti informali di socializzazione online.
Questi elementi, se ben strutturati, possono contribuire a rendere più fluida la fase di onboarding e aumentare la retention, specie in team distribuiti che operano su progetti ad alta complessità.
Cultura, contesto e impatto
Un altro elemento emerso dalla conversazione riguarda il modo in cui le aziende comunicano il senso e l’impatto del proprio lavoro.
In un settore dove le motivazioni intrinseche contano quanto (se non più) di quelle estrinseche, è sempre più importante esplicitare il contesto di business, il dominio applicativo e il tipo di sfide affrontate.
Non si tratta solo di parlare di “mission aziendale”, ma di rendere visibile la connessione tra tecnologia e valore prodotto. Specialmente nei settori in cui il software ha ricadute sociali tangibili – come l’education o la sanità – il racconto del progetto può essere un elemento attrattivo forte per determinati profili.
Una risorsa da leggere
A fine episodio, Nicola ha suggerito la lettura de Il potere delle persone di Patty McCord, ex Chief Talent Officer di Netflix. Il libro offre uno sguardo su come politiche di trasparenza, responsabilizzazione e cultura del feedback abbiano inciso sullo sviluppo dell’organizzazione. Anche in contesti molto diversi dalle big tech, i principi alla base restano applicabili: costruire ambienti dove i team abbiano reale spazio per esprimere il proprio potenziale.
Conclusioni
In un mercato iper-competitivo, attrarre e trattenere talenti non è più solo una questione di budget o di tool. È una questione di cultura, visione, chiarezza e coerenza nel modo in cui un’azienda comunica sé stessa. L’esperienza condivisa nel CTO Show non offre ricette universali, ma disegna uno schema utile per riflettere su come migliorare il proprio posizionamento come datore di lavoro. Anche – e soprattutto – se non si è una big tech.